Chi sono io? 

Credo che Igor Sibaldi sia uno dei pochi scrittori contemporanei che valga la pena di seguire e leggere.

I suoi libri hanno la buona capacità di "aprirti la mente" e farti considerare una prospettiva diversa da quella che abitualmente utilizzi. Grande cosa!

Però non condivido pienamente tutti i suoi contenuti... L'amore di Sibaldi per l'ebraismo ed il cristianesimo lo tengono lontano, molto lontano dall'Islam e fanno in modo che - lontano dalla rigorosa Unicità di Allah per come insegnata nell'Islam - le sue riflessioni e le sue scoperte siano "parziali"... Peccato.

Ovvio alla mia difficoltà cercando di riscrivere alcuni dei suoi contenuti in chiave "islamica" così che spero di beneficiare di quell'apertura mentale che i suoi libri favoriscono.

L'angeologia, per esempio.

Nei suoi libri, Sibaldi interpreta la parola angelo non tanto come entità celeste tradizionale, ma come “funzioni di coscienza” o “energie psichiche”.

Ogni “angelo” diventa una forza interiore o cosmica che può guidare la persona verso l’espansione.

Intanto, il Nome. In italiano utilizziamo la parola convenzionale "angelo" derivandola dal greco "àngeloi" che significa "messaggeri". Dovremmo dimenticarlo. Le parole "convenzionali" sono interpretazioni dei significati originali e non sempre sono corrette.

Il nome corretto degli "angeli" è Mala'akiym (in ebraico) e Malāʾika, in arabo.

1. Radice ebraica: Mala’ākîm (מלאכים)
Singolare: mal’ākh (מַלְאָךְ) → significa “messaggero”.
Plurale: mal’ākhîm (מַלְאָכִים).
Radice: l-’-k (לאך) che indica l’idea di inviare, mandare, missione.
Uso biblico: può indicare sia angeli come esseri celesti, sia messaggeri umani (es. inviati da un re).
Quindi il senso primario è “colui che porta un messaggio o compie una missione”.

2. Radice araba: Malāʾika (ملائكة)
Singolare: malak (مَلَك) → “angelo”.
Plurale: malāʾika (ملائكة).
Radice discussa: secondo i lessici arabi, deriva da ’-l-k (ألك) o da m-l-k (ملك).

’-l-k → “inviare con un compito, mandare un messaggero”.
m-l-k → “possedere, avere potere”.

Alcuni grammatici arabi (es. Sibawayh) sostenevano che malak sia una riduzione da maʾlak (strumento dell’invio).
Quindi, anche in arabo, il senso centrale è “essere inviato, esecutore di un ordine divino”.

3. Somiglianze
Entrambe le lingue collegano il termine all’idea di messaggero/missione.
Entrambi possono riferirsi a messaggeri umani o celesti.
Il plurale presenta lo stesso schema fonetico: malāʾika (arabo) ~ mal’ākhîm (ebraico).
In entrambi i casi gli “angeli” non sono autonomi: sono inviati, emissari, mai divinità.

4. Differenze
Ebraico biblico: mal’ākh può facilmente designare anche un uomo (un ambasciatore). Per capire se è un essere celeste, conta il contesto.
Arabo del Qur’an: malak è usato quasi esclusivamente per entità celesti. L’uso per un umano è raro o assente: l’accento è sul mondo invisibile (ghayb).

Connotazione:

In ebraico, l’angelo è spesso un mediatore tra Dio e l’uomo, talvolta ambiguo (può lottare con Giacobbe, Gen 32:25-31).
In arabo/qur’anico, l’angelo è un servo obbediente, privo di autonomia (“non disobbediscono a Dio in ciò che Egli ordina”, 66:6).

5. Sintesi concettuale
Mala’akîm (ebraico) = “messaggeri”, ruolo molto flessibile, a volte divini, a volte umani.
Malāʾika (arabo) = “angeli”, ruolo esclusivamente celeste, strumenti puri dell’ordine divino.

In breve: entrambi i termini partono dalla stessa radice semitica di “missione / messaggio”, ma nel Qur’an il concetto viene purificato e reso univoco: non ci sono angeli ribelli, ambigui o uomini chiamati “angeli”, ma solo creature luminose, obbedienti e invisibili, inviati da Allah.

Chiarito questo, cosa abbiamo a che fare con questi "strumenti puri dell'Ordine Divino"?

Bhe, l'idea è questa: si nasce in un preciso giorno dell'anno per Ordine di Allah e per un ben preciso motivo.

Nel Nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso

"In verità, ogni cosa abbiamo creato in misura (bi-qadar)."
(Qur’an 54:49)

Ogni cosa (inclusa la nascita) è creata da Allah (per Suo ordine),
con misura, tempo e motivo precisi (nulla è casuale).

E per ogni giorno in cui si nasce c'è una "Corrente Energetica/Angelica" che in qualche modo plasma la tua esistenza...

Sibaldi lo spiega così. Tutto ha inizio in questi tre versi del libro della Torah chiamato "Nomi" (Esodo), capitolo 14:

19. L’Angelo di Dio, che precedeva la carovana di Israele, cambiò di posto e dal davanti passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò indietro.

20. Venne così a trovarsi tra le file degli Egizi e la carovana di Israele. La nube era buia per gli uni, mentre per gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri, per tutta quella notte.

21. Allora Mosè protese la mano sul mare. E YHWH, durante tutta la notte, risospinse il mare con il forte vento dell’origine, rendendolo asciutto. Le acque si divisero.

In ebraico, ciascuno di quei tre versi ha, stranamente, settantadue lettere: e settantadue, secondo la tradizione ebraica, sono anche le Energie angeliche che guidano gli esseri umani, quelle di cui è detto:

Egli darà ordine ai suoi Mala’akiym di custodirti in tutti i tuoi passi. Salmo 91,11

Secondo la tradizione ebraica, ogni individuo ha fin dalla nascita una energia angelica, a servirgli da guida sicura «in tutti i suoi passi».

Scoprirla è semplice: i settantadue Angeli sono disposti lungo lo Zodiaco, uno ogni cinque gradi, e ciascun Angelo «custodisce i passi» di coloro che nei suoi gradi sono nati.

I loro nomi sono tutti cifrati in questi versetti: se infatti si congiunge la prima lettera del primo versetto con l’ultima del secondo e con la prima del terzo («L’Angelo dal davanti passò indietro») così:

si ottiene il Nome della prima delle settantadue energie angeliche: WHW (o Wehewuyah, come venne poi pronunciata). E se si congiunge la seconda lettera del primo versetto con la penultima del secondo e con la seconda del terzo, si ottiene il nome della seconda, YLY, o Yeliy’el; e così via, fino a che congiungendo l’ultima lettera del primo versetto con la prima del secondo versetto e con l’ultima del terzo, così:

si ottiene il nome dell’ultima delle settantadue Energie, MWM, o Muwmiyah.

I tre versi dell’Esodo non sono, dunque, soltanto la narrazione di un evento più o meno leggendario, ma l’esposizione (a chi sa leggerli; mentre per gli altri rimangono oscuri come la notte del versetto 20) di un metodo generale per l’attraversamento del «Mare» – che naturalmente rappresenta anch’esso qualcosa di più di un tratto del Mar Rosso.

Il «Mare», in quel racconto, simboleggia il mondo di tutti, così come ce lo troviamo davanti in ogni direzione, in ogni momento della vita: è l’insieme delle vite degli altri, e di ciò le muove: di tutto ciò che, nel mondo, agli altri e a te può capitare di bello o di brutto, di sensato o di insensato. In questo «Mare» molti sono travolti, come i soldati del Faraone: annegano, chi in un modo, chi in un altro, lasciando che la loro vita venga portata via da qualche corrente, talvolta senza neppure accorgersene, o senza mai domandarsi perché.

Tu invece – spiega l’Esodo a chi lo legge – puoi passare, lungo la tua via all’asciutto, dove i tuoi passi sono custoditi, se senti e sai riconoscere la voce di quel tuo «vento dell’origine»: cioè l’Energia che spira dal tuo inizio, da quello che fin dalla tua nascita è il tuo personalissimo punto di vista sul mondo, invece di obbedire a un qualche «Faraone» di turno.

Puoi seguire o no il tuo Angelo-«vento», che ti si annuncia giorno dopo giorno; quell’Angelo e la sua via nel «Mare» non cesseranno di esistere se tu decidi di voltare in un’altra direzione, magari perché un «Faraone» l’ha ordinato, e tanti intorno a te gli stanno obbedendo. L’Angelo-corridoio rimarrà soltanto altrove, lontano da te.

L’ebraico antico era una lingua geroglifica. Era cioè una lingua artificiale, destinata soltanto all’uso scritto, ed elaborata in modo che ciascuna lettera del suo alfabeto corrispondesse a una ben precisa serie di concetti.

In epoca moderna varie lingue artificiali presentano queste stesse particolarità: innanzitutto il linguaggio della chimica (strutturato da Mendeleev nella seconda metà dell’Ottocento), nel quale ogni lettera indica un elemento, e gruppi di lettere indicano un composto – H per l’idrogeno, O per l’ossigeno, H2O per l’acqua eccetera. Con la medesima precisione, tremila anni prima o giù di lì, le lettere di ogni parola del geroglifico sia egiziano sia ebraico descrivevano ciò che tale parola indicava: mostravano la formula del «composto» di concetti da cui il significato della parola era costituito.

Vediamo qualche esempio nell’ebraico.

La b

nell’alfabeto ebraico geroglifico indica i concetti di «casa», «famiglia», «interno del corpo»;

la n

significa invece «il prodotto», «il risultato dell’azione».

E in ebraico bn (pronunciato ben)

significa «un figlio», ovvero «chi è prodotto di una famiglia» o «il frutto dell’interno del corpo».

La lettera alef,

che è un suono muto e si traslittera con un apostrofo, indica i concetti di «principio», «centro irradiante», «energia»;

e ’b (pronunciato ab),

in ebraico significa «un padre», ovvero «chi la capacità di fondare una famiglia»;

«madre» invece è ’m: (pronunciato em)

poiché la m, in questo alfabeto (ם o anche מ) indica l’«avvolgere», il «racchiudere», il «plasmare dentro di sé» e anche lo «schiudersi». E così via.

Ciò fa del geroglifico una considerevole lingua filosofica: un sistema di catalogazione delle dinamiche del pensiero umano.

E particolarmente vantaggiosa è la sua applicazione ai mondi invisibili, dato che qualsiasi Entità, espressa in geroglifico, mostra immediatamente la propria natura: diventa cioè impossibile, in geroglifico, lasciare indefinito il significato della parola «Dio» (e dunque limitarsi a credere che esista un X chiamato «Dio»), dato che la parola stessa indicherà con le sue lettere in che cosa propriamente consista un qualsiasi Dio.

Parimenti, nei settantadue nomi angelici, il geroglifico permette di delineare in poche lettere le caratteristiche di ciascun Angelo-«vento»-energia; e della sua direzione attraverso il «Mare»-mondo; delle forze e dei talenti che dà il percorrerla, e, viceversa, dei rischi in cui si incorre se la si contrasta, e che sono semplicemente l’inversione di quelle forze e di quegli stessi talenti (nell’angelologia vale infatti l’idea, anche questa antichissima, che ogni tua dote non adoperata diviene un tuo intralcio).

L'angeologia ebraica non è astrologia (anche se le somiglia molto).

L'astrologia ragiona in termini di probabilità, ma – a meno che l’astrologo non voglia credersi veggente – non interviene sugli "scopi" che l’individuo si prefigge, e lascia chiunque libero di scegliersi i propri.

L’angelologia, invece, non solo non parla di astri, ma vuole indicare all’individuo quali compiti ha da svolgere nel mondo, per il bene suo e di tutti, in base a una particolare corrente energetica che può guidare la sua personalità, e che è rimasta e rimarrà identica negli anni, nei secoli, nei millenni.

Non saprei dire quanto "islam" c'è in queste idee... È però molto particolare il fatto che leggendo la descrizione di quella che dovrebbe essere la mia "corrente energetica" io mi ci riconosca in un modo impressionante... È come guardarmi allo specchio.

La mia corrente appartiene al gruppo dei Serafini, ed in particolare io sarei un SeYiTa'eL.

Caratteristica predominante tra i Serafini é la Volontà, una Volontà ferrea.

I SERAFINI splendono, divampano. Il loro nome in ebraico significa «incendi», e sono al vertice dell’Albero della Vita, all’estremo confine con quell’infinito dove non vi è nulla che non sia Dio.

Dio diede inizio all’universo perché lo volle, e da allora vi è in ogni essere vivente una scintilla di quella stessa facoltà di volere, che crea il mondo in cui quell’essere vive... Ma nei Serafini questa caratteristica è accentuata.

Alcuni - come me, spiega Sibaldi - ricevono proprio qui, all’inizio, l’impronta principale della loro natura: sono appunto i nati nelle prime settimane della primavera.
In noi Seyita’el quella Volontà dell’anima preme nell’io, ed è sempre a un passo soltanto (che ce ne accorgiamo o no) dall’incendiare la coscienza e trasformarsi in potere.

Il nome SYT, in geroglifico, lo si può intendere così:

Ṣamek. È la s sorda, come in «asse». È il geroglifico del perimetro, della linea di confine o del fronte; e anche dei sandali, della cintura, del velo, dell’ombra, della soglia, dell’estremità, dei vortici della tempesta.

Yod. È il geroglifico dell’attenzione estroversa, del dito che indica, della visibilità, del manifestarsi concreto e durevole.

Tet. Si pronuncia con la punta della lingua sul palato, un po’ più intensa della t di tango. È il geroglifico della protezione, della solidità, del tetto, dello scudo.

Un perimetro S, dal quale si può vedere ed indicare Y, restando protetti, al riparo T.

IO GUARDO DA DIETRO LO SCUDO, DAL MURO DELLA FORTEZZA, scrive SIBALDI.

I Seyita’el sono gli Angeli dei Guerrieri. La "guerra" e ogni sua metafora sono il loro habitat naturale. Il metallo, le armi, il materiale preferito.

Hanno come compito la scoperta del coraggio di affrontare molti e della fedeltà a un capo.

"Nella nostra epoca si sentono a disagio" , scrive ancora Sibaldi.

"Avrebbero bisogno di disciplina ferrea, di ordini precisi a cui obbedire immancabilmente, di capi autentici da ammirare, e soprattutto di battaglie, di onesti scontri, possibilmente all’arma bianca, in cui resti spazio soltanto per il valore personale: e ai giorni nostri non è facile trovare nulla del genere.

Perciò sono spesso così cinici e chiusi in se stessi, delusi da tutto o quasi; ed è anche come se si crogiolassero nelle loro delusioni.

Perciò possono detestare le autorità: perché le trovano troppo poco autorevoli!

E soffrono acutamente quando qualche loro amico manca alla parola data.

E in un modo o nell’altro finiscono sempre per trovarsi una professione o un hobby che abbia a che fare con il metallo: chirurghi, dentisti, parrucchieri, collezionisti d’armi, appassionati d’arti marziali... o con apparecchi che colgano un bersaglio: macchine fotografiche, microscopi e via dicendo. Come se davvero dovessero esprimere, anche negli oggetti d’uso, una profonda nostalgia per la guerra.

Oppure realizzano, nel lavoro, il connubio tra obbedienza e voglia di trovarsi in prima linea.

I Ṣeyiṭa’el non sanno proprio rassegnarsi alle mezze misure della normale vita civile. Alle mezze obbedienze preferiscono la totale anarchia, il disadattamento addirittura, o l’eroismo".

Ou! Sono io!

"Che possono fare?" - continua Sibaldi.

"La maggior parte dei Ṣeyiṭa’el decide, purtroppo, di elevare contro la vita quotidiana una barriera fatta di riserbo e di una discreta dose di bugie protettive. Si trincerano, tengono per sé soli le loro segrete nostalgie di un altrove più bello, e – come agenti segreti in missione – imparano a non dire nemmeno una parola che lasci intuire i loro veri stati d’animo.

Altri si ribellano e cercano di produrre loro stessi quel che non trovano intorno: vogliono diventare capi, almeno in una cerchia ristretta (nella famiglia, per esempio, o in ufficio) per imporre lì i loro valori. Ma i risultati sono quasi sempre scoraggianti: Bismarck vi riuscì come cancelliere di Prussia, perché aveva sopra di sé il Kaiser, e dalla sua le tradizioni e le aspirazioni di un intero popolo storicamente nostalgico, ma i Ṣeyiṭa’el che tentano di diventare leader fai-da-te reggono difficilmente alla tensione, reagiscono malissimo a qualsiasi critica, non hanno la pazienza di indagare i sentimenti altrui, di chiedere ascolto, di adattarsi alle necessità e ai limiti di chi dovrebbe obbedirli.

Una linea di condotta più saggia e produttiva consisterebbe nell’andare semplicemente fieri della propria diversità: nel guardare più attentamente quel mondo contemporaneo a cui si sentono estranei, e nel dire ciò che vi vedono, mettendo a disposizione di tutti il loro punto di vista così originale. Ogni gruppo umano, piccolo o grande, ha talmente bisogno di punti di vista differenti da quelli soliti!

 

Un Ṣeyiṭa’el è nato apposta per criticare, per scalfire certezze collettive, per richiamare coraggiosamente l’attenzione su valori fondamentali che si sono persi con il tempo: se avrà la generosità di farlo, qualunque sia la sua posizione nella società attuale, non potrà che essere utile a molti, e ne avrà in cambio la loro stima e gratitudine".

Bhe, è proprio quello che intendo fare con questo blog!

Guardare più attentamente il mondo contemporaneo a cui mi sento estraneo, e dire ciò che vi vedo, mettendo a disposizione di tutti il mio punto di vista così originale.