
L’origine dell’architettura viene fatta coincidere dagli storici con il passaggio epocale dalle popolazioni nomadi di cacciatori e allevatori alla nascita delle prime civiltà stanziali, avvenuto intorno al 6500 a.C.
Nelle stesse speculazioni teoriche della cultura architettonica occidentale sono ricorrenti i riferimenti al concetto di “capanna primitiva”, inteso come primo atto di occupazione del mondo da parte dell’uomo, di definizione di un ambiente domestico favorevole alla sopravvivenza, in contrapposizione ai rigori della natura.
A causa del carattere effimero e transitorio dei manufatti risalenti alla fase preistorica del nomadismo, oggi di questi non abbiamo alcun reperto; tuttavia un ’indicazione piuttosto precisa è fornita dagli studi di antropologia culturale e di etnologia.
I primi ripari delle popolazioni nomadi erano rappresentati da rudimentali capanne, con pavimento di terra battuta, ossatura di rami e copertura a falde rivestita e protetta da frasche, foglie e fascine.
Tali strutture avevano la caratteristica di poter essere montate in breve tempo e abbandonate al termine della battuta di caccia o del periodo di pascolo.

Altro tipo di riparo che si presentava a portata di mano in simili occasioni era costituito dalle grotte naturali, che non venivano semplicemente occupate dagli allevatori o dai cacciatori, ma modificate e adattate alle loro esigenze.

Grotta di Skhul, situata sul Monte Carmelo in Israele
Le tende delle popolazioni nomadi si trasformano presto in strutture più solide, abitazioni a pianta circolare con intelaiatura di rami rivestita di cannicciato, reso consistente da un impasto di fango e paglia.
Nel Neolitico questa struttura trova grande diffusione in un’area che si diffonde fino alla Mongolia, e acquisisce caratteri di sempre maggiore stabilità: alle orditure perimetrali di legno e alle coperture leggere si sostituiscono strutture murarie a pianta circolare in pietra a secco, sassi e mattoni che si prolungano sulla copertura a formare una sorta di igloo.
È questa la tipologia a thòlos, che grande importanza rivestirà nella edificazione delle tombe a tumulo delle civiltà cretese e micenea.

Çatal Hüyük
Uno degli insediamenti neolitici più antichi del mondo è quello di Çatal Hüyük nell’Anatolia sudorientale.

La storia di Çatal Hüyük (çatal = forca; hüyük = colle) comincia in un’epoca in cui la ceramica non esisteva ancora. Stando alle analisi di carbonio-14, l’insediamento di Çatal Hüyük era abitato tra circa il 7400 fino il 6200 a.C., epoca tra il neolitico e il calcolitico (età del rame).
Il luogo è ben irrigato dal fiume Çarşamba e la natura offriva in quell’epoca abbondantemente selvaggina e frutta da raccogliere. Le ottime condizioni portarono ovviamente la gente della zona a impiantare un insediamento che, per l’epoca, aveva una dimensione straordinaria.
L’insediamento si trovava su due colline ed era composto da un fitto insieme di case a pianta rettangolare costruite con terra cruda battuta e mattoni d’argilla. Differenze di livello del terreno e dell’altezza dei vani consentivano l’illuminazione e la ventilazione. Non esistevano vie e passaggi tra le singole case.

Le case avevano tetti piani dai quali si accedeva alle abitazioni tramite delle scalette. La scaletta si trovava spesso sulla parete sud. Sulla stessa parete si trovava anche il focolare. Così il fumo poteva uscire dalla stessa apertura che serviva anche da ingresso.
I molteplici strati di pittura sulle pareti fanno pensare che le abitazioni dovevano essere spesso annerite da fumi e fuliggine.
La ricostruzione di un’abitazione ha dimostrato che la luce che penetrava dall’apertura d’ingresso nel tetto era sufficiente per illuminare l’interno durante il giorno, specialmente quando le pareti erano ben imbiancate e in parte abbellite con delle raffigurazioni di vario genere.
I pavimenti erano stesi su differenti livelli, alcune aree rialzate erano coperte da stuoie di giunco e servivano per dormire. Sul lato nord delle case si trovava spesso un piccolo locale separato che serviva da dispensa. Una buona porzione della vita quotidiana si svolgeva all’esterno e sui tetti.

Sono stati ritrovati nell’Anatolia centrale altri insediamenti di questo tipo, per esempio a Aşıklı e Can Hasan. Le ricerche hanno dimostrato che tra le singoli gruppi di case, chiamati ”cluster”, esistevano anche delle aree libere.
Si stima che il villaggio di Çatal Hüyük era abitato da non più di 2500 persone. La compattezza dei gruppi di case e lo scarico dei rifiuti sulle aree libere ha comportato sicuramente a precarie condizioni igieniche.
Per motivo della sua età, della sua dimensione, dell’architettura e dei dipinti murali, Çatal Höyük è diventata famoso in tutto il mondo ed è considerato una pietra miliare dell’archeologia preistorica, ma chiamare questo villaggio “la prima città dell’umanità”, come si legge spesso, è piuttosto esagerato.
Indubbiamente l’obiettivo degli costruttori di Çatal Höyük non era quello di far entrare nelle case molta luce e sole. Si può presumere che sia stato piuttosto il bisogno di sicurezza uno dei principali criteri che ha portato alla struttura architettonica che oggi conosciamo grazie agli scavi archeologici. Un altro fattore potrebbe essere stato il clima, ma i dati che riguardano questa epoca sono troppo scarsi per collegare la struttura architettonica di Çatal Hüyük a fattori climatici.
