Chi sono io?

Credo che Igor Sibaldi sia uno dei pochi scrittori contemporanei che valga la pena di seguire e leggere.
I suoi libri hanno la buona capacità di "aprirti la mente" e farti considerare una prospettiva diversa da quella che abitualmente utilizzi. Grande cosa!
Però non condivido pienamente tutti i suoi contenuti... L'amore di Sibaldi per l'ebraismo ed il cristianesimo lo tengono lontano, molto lontano dall'Islam e fanno in modo che - lontano dalla rigorosa Unicità di Allah per come insegnata nell'Islam - le sue riflessioni e le sue scoperte siano "parziali"... Peccato.
Ovvio alla mia difficoltà cercando di riscrivere alcuni dei suoi contenuti in chiave "islamica" così che spero di beneficiare di quell'apertura mentale che i suoi libri favoriscono.
L'angeologia, per esempio.
Nei suoi libri, Sibaldi interpreta la parola angelo non tanto come entità celeste tradizionale, ma come “funzioni di coscienza” o “energie psichiche”.
Ogni “angelo” diventa una forza interiore o cosmica che può guidare la persona verso l’espansione.
Intanto, il Nome. In italiano utilizziamo la parola convenzionale "angelo" derivandola dal greco "àngeloi" che significa "messaggeri". Dovremmo dimenticarlo. Le parole "convenzionali" sono interpretazioni dei significati originali e non sempre sono corrette.
Il nome corretto degli "angeli" è Mala'akiym (in ebraico) e Malāʾika, in arabo.
1. Radice ebraica: Mala’ākîm (מלאכים)
Singolare: mal’ākh (מַלְאָךְ) → significa “messaggero”.
Plurale: mal’ākhîm (מַלְאָכִים).
Radice: l-’-k (לאך) che indica l’idea di inviare, mandare, missione.
Uso biblico: può indicare sia angeli come esseri celesti, sia messaggeri umani (es. inviati da un re).
Quindi il senso primario è “colui che porta un messaggio o compie una missione”.
2. Radice araba: Malāʾika (ملائكة)
Singolare: malak (مَلَك) → “angelo”.
Plurale: malāʾika (ملائكة).
Radice discussa: secondo i lessici arabi, deriva da ’-l-k (ألك) o da m-l-k (ملك).
’-l-k → “inviare con un compito, mandare un messaggero”.
m-l-k → “possedere, avere potere”.
Alcuni grammatici arabi (es. Sibawayh) sostenevano che malak sia una riduzione da maʾlak (strumento dell’invio).
Quindi, anche in arabo, il senso centrale è “essere inviato, esecutore di un ordine divino”.
3. Somiglianze
Entrambe le lingue collegano il termine all’idea di messaggero/missione.
Il plurale presenta lo stesso schema fonetico: malāʾika (arabo) ~ mal’ākhîm (ebraico).
In entrambi i casi gli “angeli” non sono autonomi: sono inviati, emissari, mai divinità.
4. Differenze
Ebraico biblico: mal’ākh può facilmente designare anche un uomo (un ambasciatore). Per capire se è un essere celeste, conta il contesto.
Arabo del Qur’an: malak è usato quasi esclusivamente per entità celesti. L’uso per un umano è raro o assente: l’accento è sul mondo invisibile (ghayb).
Connotazione:
In ebraico, l’angelo è spesso un mediatore tra Dio e l'essere umano, talvolta ambiguo (può lottare con Giacobbe, Gen 32:25-31).
In arabo/qur’anico, l’angelo è un servo obbediente, privo di autonomia (“non disobbediscono a Dio in ciò che Egli ordina”, 66:6).
5. Sintesi concettuale
Mala’akîm (ebraico) = “messaggeri”, ruolo molto flessibile, a volte divini, a volte umani.
Malāʾika (arabo) = “angeli”, ruolo esclusivamente celeste, strumenti puri dell’ordine divino.
In breve: entrambi i termini partono dalla stessa radice semitica di “missione / messaggio”, ma nel Qur’an il concetto viene purificato e reso univoco: non ci sono angeli ribelli, ambigui o esseri umani chiamati “angeli”, ma solo creature luminose, obbedienti e invisibili, inviati da Allah.
Chiarito questo, cosa abbiamo a che fare con questi "strumenti puri dell'Ordine Divino"?
Bhe, l'idea è questa: si nasce in un preciso giorno dell'anno per Ordine di Allah e per un ben preciso motivo.
Nel Nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso
"In verità, ogni cosa abbiamo creato in misura (bi-qadar)." (La Lettura, Qur’an 54:49, La Luna)
Ogni cosa (inclusa la nascita) è creata da Allah (per Suo ordine), con misura, tempo e motivo precisi (nulla è casuale).
E per ogni giorno in cui si nasce c'è una "Corrente Energetica/Angelica" che in qualche modo plasma la tua esistenza...
Sibaldi lo spiega così. Tutto ha inizio in questi tre versi del libro della Scrittura, Torah chiamato "Nomi" (Esodo), capitolo 14:
19. L’Angelo di Dio, che precedeva la carovana di Israele, cambiò di posto e dal davanti passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò indietro.
20. Venne così a trovarsi tra le file degli Egizi e la carovana di Israele. La nube era buia per gli uni, mentre per gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri, per tutta quella notte.
21. Allora Mosè protese la mano sul mare. E YHWH, durante tutta la notte, risospinse il mare con il forte vento dell’origine, rendendolo asciutto. Le acque si divisero.
In ebraico, ciascuno di quei tre versi ha, stranamente, settantadue lettere: e settantadue, secondo la tradizione ebraica, sono anche le Energie angeliche che guidano gli esseri umani, quelle di cui è detto:
Egli darà ordine ai suoi Mala’akiym di custodirti in tutti i tuoi passi. (La Scrittura, Salmo 91,11)
Secondo la tradizione ebraica, ogni individuo ha fin dalla nascita una energia angelica, a servirgli da guida sicura «in tutti i suoi passi».
Scoprirla è semplice: i settantadue Angeli sono disposti lungo lo Zodiaco, uno ogni cinque gradi, e ciascun Angelo «custodisce i passi» di coloro che nei suoi gradi sono nati.
I loro nomi sono tutti cifrati in questi versetti: se infatti si congiunge la prima lettera del primo versetto con l’ultima del secondo e con la prima del terzo («L’Angelo dal davanti passò indietro») così:

si ottiene il Nome della prima delle settantadue energie angeliche: WHW (o Wehewuyah, come venne poi pronunciata). E se si congiunge la seconda lettera del primo versetto con la penultima del secondo e con la seconda del terzo, si ottiene il nome della seconda, YLY, o Yeliy’el; e così via, fino a che congiungendo l’ultima lettera del primo versetto con la prima del secondo versetto e con l’ultima del terzo, così:

si ottiene il nome dell’ultima delle settantadue Energie, MWM, o Muwmiyah.
I tre versi dell’Esodo non sono, dunque, soltanto la narrazione di un evento più o meno leggendario, ma l’esposizione (a chi sa leggerli; mentre per gli altri rimangono oscuri come la notte del versetto 20) di un metodo generale per l’attraversamento del «Mare» – che naturalmente rappresenta anch’esso qualcosa di più di un tratto del Mar Rosso.
Il «Mare», in quel racconto, simboleggia il mondo di tutti, così come ce lo troviamo davanti in ogni direzione, in ogni momento della vita: è l’insieme delle vite degli altri, e di ciò le muove: di tutto ciò che, nel mondo, agli altri e a te può capitare di bello o di brutto, di sensato o di insensato. In questo «Mare» molti sono travolti, come i soldati del Faraone: annegano, chi in un modo, chi in un altro, lasciando che la loro vita venga portata via da qualche corrente, talvolta senza neppure accorgersene, o senza mai domandarsi perché.
Tu invece – spiega l’Esodo a chi lo legge – puoi passare, lungo la tua via all’asciutto, dove i tuoi passi sono custoditi, se senti e sai riconoscere la voce di quel tuo «vento dell’origine»: cioè l’Energia che spira dal tuo inizio, da quello che fin dalla tua nascita è il tuo personalissimo punto di vista sul mondo, invece di obbedire a un qualche «Faraone» di turno.
Puoi seguire o no il tuo Angelo-«vento», che ti si annuncia giorno dopo giorno; quell’Angelo e la sua via nel «Mare» non cesseranno di esistere se tu decidi di voltare in un’altra direzione, magari perché un «Faraone» l’ha ordinato, e tanti intorno a te gli stanno obbedendo. L’Angelo-corridoio rimarrà soltanto altrove, lontano da te.
L’ebraico antico era una lingua geroglifica. Era cioè una lingua artificiale, destinata soltanto all’uso scritto, ed elaborata in modo che ciascuna lettera del suo alfabeto corrispondesse a una ben precisa serie di concetti.
In epoca moderna varie lingue artificiali presentano queste stesse particolarità: innanzitutto il linguaggio della chimica (strutturato da Mendeleev nella seconda metà dell’Ottocento), nel quale ogni lettera indica un elemento, e gruppi di lettere indicano un composto – H per l’idrogeno, O per l’ossigeno, H2O per l’acqua eccetera. Con la medesima precisione, tremila anni prima o giù di lì, le lettere di ogni parola del geroglifico sia egiziano sia ebraico descrivevano ciò che tale parola indicava: mostravano la formula del «composto» di concetti da cui il significato della parola era costituito.
Vediamo qualche esempio nell’ebraico.
La b

nell’alfabeto ebraico geroglifico indica i concetti di «casa», «famiglia», «interno del corpo»;
la n

significa invece «il prodotto», «il risultato dell’azione».
E in ebraico bn (pronunciato ben)

significa «un figlio», ovvero «chi è prodotto di una famiglia» o «il frutto dell’interno del corpo».
La lettera alef,

che è un suono muto e si traslittera con un apostrofo, indica i concetti di «principio», «centro irradiante», «energia»;
e ’b (pronunciato ab),

in ebraico significa «un padre», ovvero «chi la capacità di fondare una famiglia»;
«madre» invece è ’m: (pronunciato em)

poiché la m, in questo alfabeto (ם o anche מ) indica l’«avvolgere», il «racchiudere», il «plasmare dentro di sé» e anche lo «schiudersi». E così via.
Ciò fa del geroglifico una considerevole lingua filosofica: un sistema di catalogazione delle dinamiche del pensiero umano.
E particolarmente vantaggiosa è la sua applicazione ai mondi invisibili, dato che qualsiasi Entità, espressa in geroglifico, mostra immediatamente la propria natura: diventa cioè impossibile, in geroglifico, lasciare indefinito il significato della parola «Dio» (e dunque limitarsi a credere che esista un X chiamato «Dio»), dato che la parola stessa indicherà con le sue lettere in che cosa propriamente consista un qualsiasi Dio.
Parimenti, nei settantadue nomi angelici, il geroglifico permette di delineare in poche lettere le caratteristiche di ciascun Angelo-«vento»-energia; e della sua direzione attraverso il «Mare»-mondo; delle forze e dei talenti che dà il percorrerla, e, viceversa, dei rischi in cui si incorre se la si contrasta, e che sono semplicemente l’inversione di quelle forze e di quegli stessi talenti (nell’angelologia vale infatti l’idea, anche questa antichissima, che ogni tua dote non adoperata diviene un tuo intralcio).
L'angeologia ebraica non è astrologia (anche se le somiglia molto).
L'astrologia ragiona in termini di probabilità, ma – a meno che l’astrologo non voglia credersi veggente – non interviene sugli "scopi" che l’individuo si prefigge, e lascia chiunque libero di scegliersi i propri.
L’angelologia, invece, non solo non parla di astri, ma vuole indicare all’individuo quali compiti ha da svolgere nel mondo, per il bene suo e di tutti, in base a una particolare corrente energetica che può guidare la sua personalità, e che è rimasta e rimarrà identica negli anni, nei secoli, nei millenni.
Non saprei dire quanto "islam" c'è in queste idee... È però molto particolare il fatto che leggendo la descrizione di quella che dovrebbe essere la mia "corrente energetica" io mi ci riconosca in un modo impressionante... È come guardarmi allo specchio.
La mia corrente appartiene al gruppo dei Serafini, ed in particolare io sarei un SeYiTa'eL.

Caratteristica predominante tra i Serafini é la Volontà, una Volontà ferrea.
I SERAFINI splendono, divampano. Il loro nome in ebraico significa «incendi», e sono al vertice dell’Albero della Vita, all’estremo confine con quell’infinito dove non vi è nulla che non sia Dio.

Dio diede inizio all’universo perché lo volle, e da allora vi è in ogni essere vivente una scintilla di quella stessa facoltà di volere, che crea il mondo in cui quell’essere vive... Ma nei Serafini questa caratteristica è accentuata.
Alcuni come me - spiega Sibaldi - ricevono proprio qui, all’inizio, l’impronta principale della loro natura: sono appunto i nati nelle prime settimane della primavera.
In noi Seyita’el quella Volontà dell’anima preme nell’io, ed è sempre a un passo soltanto (che ce ne accorgiamo o no) dall’incendiare la coscienza e trasformarsi in potere.
Il nome SYT, in geroglifico, lo si può intendere così:

Ṣamek. È la s sorda, come in «asse». È il geroglifico del perimetro, della linea di confine o del fronte; e anche dei sandali, della cintura, del velo, dell’ombra, della soglia, dell’estremità, dei vortici della tempesta.

Yod. È il geroglifico dell’attenzione estroversa, del dito che indica, della visibilità, del manifestarsi concreto e durevole.

Tet. Si pronuncia con la punta della lingua sul palato, un po’ più intensa della t di tango. È il geroglifico della protezione, della solidità, del tetto, dello scudo.
Un perimetro S, dal quale si può vedere ed indicare Y, restando protetti, al riparo T.
IO GUARDO DA DIETRO LO SCUDO, DAL MURO DELLA FORTEZZA, scrive Sibaldi.
I Seyita’el sono gli Angeli dei Guerrieri. La "guerra" e ogni sua metafora sono il loro habitat naturale. Il metallo, le armi, il materiale preferito.

Hanno come compito la scoperta del coraggio di affrontare molti e della fedeltà a un capo.
"Nella nostra epoca si sentono a disagio", scrive ancora Sibaldi.
"Avrebbero bisogno di disciplina ferrea, di ordini precisi a cui obbedire immancabilmente, di capi autentici da ammirare, e soprattutto di battaglie, di onesti scontri, possibilmente all’arma bianca, in cui resti spazio soltanto per il valore personale: e ai giorni nostri non è facile trovare nulla del genere.
Perciò sono spesso così cinici e chiusi in se stessi, delusi da tutto o quasi; ed è anche come se si crogiolassero nelle loro delusioni.
Perciò possono detestare le autorità: perché le trovano troppo poco autorevoli!
E soffrono acutamente quando qualche loro amico manca alla parola data.
E in un modo o nell’altro finiscono sempre per trovarsi una professione o un hobby che abbia a che fare con il metallo: chirurghi, dentisti, parrucchieri, collezionisti d’armi, appassionati d’arti marziali... o con apparecchi che colgano un bersaglio: macchine fotografiche, microscopi e via dicendo. Come se davvero dovessero esprimere, anche negli oggetti d’uso, una profonda nostalgia per la guerra.
Oppure realizzano, nel lavoro, il connubio tra obbedienza e voglia di trovarsi in prima linea.
I Ṣeyiṭa’el non sanno proprio rassegnarsi alle mezze misure della normale vita civile. Alle mezze obbedienze preferiscono la totale anarchia, il disadattamento addirittura, o l’eroismo".
Ou! Sono io!
"Che possono fare?" - continua Sibaldi.
"La maggior parte dei Ṣeyiṭa’el decide, purtroppo, di elevare contro la vita quotidiana una barriera fatta di riserbo e di una discreta dose di bugie protettive. Si trincerano, tengono per sé soli le loro segrete nostalgie di un altrove più bello, e – come agenti segreti in missione – imparano a non dire nemmeno una parola che lasci intuire i loro veri stati d’animo.
Altri si ribellano e cercano di produrre loro stessi quel che non trovano intorno: vogliono diventare capi, almeno in una cerchia ristretta (nella famiglia, per esempio, o in ufficio) per imporre lì i loro valori. Ma i risultati sono quasi sempre scoraggianti: Bismarck vi riuscì come cancelliere di Prussia, perché aveva sopra di sé il Kaiser, e dalla sua le tradizioni e le aspirazioni di un intero popolo storicamente nostalgico, ma i Ṣeyiṭa’el che tentano di diventare leader fai-da-te reggono difficilmente alla tensione, reagiscono malissimo a qualsiasi critica, non hanno la pazienza di indagare i sentimenti altrui, di chiedere ascolto, di adattarsi alle necessità e ai limiti di chi dovrebbe obbedirli.
Una linea di condotta più saggia e produttiva consisterebbe nell’andare semplicemente fieri della propria diversità: nel guardare più attentamente quel mondo contemporaneo a cui si sentono estranei, e nel dire ciò che vi vedono, mettendo a disposizione di tutti il loro punto di vista così originale. Ogni gruppo umano, piccolo o grande, ha talmente bisogno di punti di vista differenti da quelli soliti!
Un Ṣeyiṭa’el è nato apposta per criticare, per scalfire certezze collettive, per richiamare coraggiosamente l’attenzione su valori fonda-mentali che si sono persi con il tempo: se avrà la generosità di farlo, qualunque sia la sua posizione nella società attuale, non potrà che essere utile a molti, e ne avrà in cambio la loro stima e gratitudine".
Bhe, è proprio quello che intendo fare con questo blog!
Guardare più attentamente il mondo contemporaneo a cui mi sento estraneo, e dire ciò che vi vedo, mettendo a disposizione di tutti il mio punto di vista così originale.
I miei Valori

Molte volte viviamo trascinati dagli eventi, dalle mode, dalle aspettative degli altri. Ma senza rendercene conto rischiamo di perdere la cosa più preziosa: i nostri Valori.
Riconoscere i propri valori significa fermarsi, guardarsi dentro e chiedersi: “Che cosa è davvero importante per me?”.
È una bussola interiore che ci aiuta a fare scelte coerenti, a dire “sì” a ciò che ci realizza e “no” a ciò che ci allontana da chi vogliamo essere.
Vivere secondo i propri valori non garantisce la strada più facile, ma certamente quella più autentica: meno compromessi, più chiarezza, più pace con se stessi.
Alla fine, non è ciò che otteniamo che definisce la nostra vita, ma ciò in cui crediamo e come restiamo fedeli ad esso.
I Miei Valori:
Islam
Umiltà
Onestà
Coraggio ( Walk my Talk )
Auto-Controllo

Islam, parola araba, può essere tradotta con il vocabolo italiano “Sottomissione” ed è da intendersi come Sottomissione a Dio e solo a Dio. È il più alto dei miei Valori, ed è imprescindibile. La Sottomissione a Dio è un attributo, o la hai o non la hai. Averla è per me fondamentale, in me e nelle persone che appartengono alla mia cerchia più ristretta. No Islam No Party.

Per definire l’Umiltà utilizzo le parole dello scrittore Salvatore Brizzi: “L’Umiltà è la conseguenza della completa realizzazione del proprio valore. Infatti solo una persona che sa bene quanto vale è capace di essere umile. Chi ha una bassa autostima tenderà a comportarsi con superbia, a ostentare le sue capacità, in quanto ha paura di essere visto nella sua pochezza”. – Ecco perché è detto che gli Umili possederanno la Terra! Si potrebbe anche dire che apprezzo in me e nelle persone l’Autostima, ma il mio vero Valore è l’Umiltà perché esistono al mondo molte persone che proprio grazie alla loro Autostima sono superbi ed arroganti e non mi piacciono nemmeno un poco.

L’Onestà è il non rubare (e i parassiti non li sopporto proprio!) ma è anche di più per me: Onestà è Trasparenza e Verità. Essere onesti è non mentire e non approfittare del fatto che chi ci circonda non può leggerci nel pensiero. Onestà è dichiarare le proprie intenzioni ed il proprio pensiero in modo che si possa vedere di noi anche quello che non si potrebbe altrimenti vedere.

Il Coraggio è il Valore che esercito più debolmente… è quasi un’aspirazione: tendo ad avere il Coraggio di essere me stesso, di essere trasparente, di non mentire mai, di agire sempre con il Cuore anche quando non mi converrebbe. Il Coraggio di Vivere la MIA vita e non quella di qualcun altro. Tendo ad averlo e ad apprezzarlo moltissimo in chi mi sta vicino (amo il mio nemico se questi agisce con il suo Cuore).

L’Auto-Controllo è inscritto nel mio DNA, l’ho avuto sin da piccolo e l’ho perso solo due volte in tutta la mia vita, sino ad ora. È un sinonimo di Forza: apprezzo e dò grande valore a chi è Forte e tende a vivere in maniera proattiva, cioè subordinando le sue Emozioni ai suoi Valori. Non disprezzo i “deboli” ma non posso negare di compatirli: urla verso di me, sfoga tutta la rabbia, perdi il tuo Auto-Controllo e non avrai ottenuto un bel niente da me. Non ti rispondo neanche. In quel momento, per me, non hai nessun Valore.
I miei primi 40 anni
Secondo l'angeologia ebraica - e secondo quello che ne dice Igor Sibaldi - essendo nato in una data "cuspide" ho due correnti angeliche che interessano la mia vita.
La seconda di queste è stata la più rilevante nella prima parte della mia vita (fino ai 38 anni circa) e vorrei aver conosciuto la teoria degli angeli ebraica prima per cercare di sfruttare meglio l'energia di questa corrente... Invece ho fatto molto danno muovendomi sempre "contro corrente".
Spiega Sibaldi: "Alcuni giorni dell’anno cadono sotto la protezione di due Angeli, invece che di un Angelo solo. Lo si deve al fatto che gli Angeli sono ripartiti non in base ai trecentosessantacinque giorni (circa) del nostro calendario, bensì in base ai trecentosessanta gradi dello Zodiaco: si hanno perciò giorni «cuspide», come in astrologia.
In questi casi, a mio parere, non occorre risalire all’esatto grado zodiacale dell’istante della nascita: ho notato infatti che chi è nato in un giorno «cuspide» tra due Angeli, dispone e deve render conto delle energie di entrambi.
Di solito, nella prima parte della vita – fin verso i trentotto anni – prevalgono le energie del secondo tra i due Angeli uniti in una «cuspide», e negli anni seguenti quelle del primo: ma si tratta soltanto di prevalenze, e non di una completa alternanza.
La soluzione, per i nati in questi giorni, consiste nell’abbondanza, nell’ampliare cioè il più possibile le proprie vedute, le proprie curiosità e attività, in modo da non lasciare da parte nessuna delle caratteristiche dei propri due Angeli".
Il mio angelo cuspide è chiamato:
‘Elamiyah
ayin-lamed-mem


È il segno dell’apparenza esteriore e ingannevole, dell’indefinito, del sentito dire, del vuoto.

È il segno dell’ampliarsi, dell’ascendere, del divenire, del rivelarsi, del guardare più in là. Ha la forma dell’ureo che ornava il copricapo dei faraoni.

Si scrive nella sua forma chiusa quando è in finale di parola. Era il segno di ciò che racchiude e può schiudersi, della maternità, dell’orizzonte, del mondo, dell’acqua, del popolo, inteso come massa.
«Al di là delle nebbie (Ayin), io amplio (lamed) gli orizzonti (mem)»

Scrive Sibaldi, è confermo che tutto quello che dice corrisponde alla mia vita dalla nascita ai 35 - 40 anni di vita, circa:
"I PROTETTI di questo Serafino sono autentici veggenti: percepiscono sia il futuro, sia ciò che si nasconde nell’animo del loro prossimo.
La loro specialità consiste nel cogliere gli aspetti più concreti, economici, finanziari, di tutto ciò che la loro veggenza può esplorare.
Ma non sono bravi a farsi prendere sul serio: sia perché temono un po’ questi loro poteri, sia perché temono ancor di più il successo, il clamore che susciterebbero; non per nulla, in ebraico ‘elam significa «scomparire».
Ipercritici come sono verso se stessi (è questo infatti il loro maggior difetto), credono che una qualsiasi dose di successo darebbe loro alla testa, e farebbe emergere in loro difetti assolutamente odiosi, come presunzione, insolenza, volgarità.
Così, la maggioranza degli ‘Elamiyah preferisce tarparsi, e va incontro alla dura sorte di chi rifiuta i propri doni straordinari: e inevitabilmente quei loro doni inutilizzati diventano per loro un impaccio, e frenano, come spiriti indignati, ogni altra carriera, costringendoli a esistenze mediocri, a ruoli sempre di secondo piano.
L’umiltà degli ‘Elamiyah ha infatti ragioni anche più profonde, e inscindibili da quegli stessi loro poteri: si esprime in essa il caratteristico fastidio che gli individui spiritualmente più dotati provano nei riguardi di tutto ciò che è egocentrico.
La loro attenzione per il concreto è una forma d’amore per la realtà terrena che vorrebbero migliorare, rendere più facile, per il bene altrui.
Che fare, dunque? Molti ‘Elamiyah non riescono, per così dire, a essere all’altezza della loro stessa altezza: e vivono cupi, frustrati, lacerati tra il loro desiderio di nascondersi e la consapevolezza di valere molto, tra il disprezzo che avvertono verso se stessi e il sogno della stima che sentono di meritare.
In queste condizioni, quando la loro veggenza preme e vuol emergere, capita che deviano verso le percezioni alterate dalle droghe – nel tentativo, si direbbe, più di placarla, o di giustificarla in qualche modo, che non di acutizzarla – e invece che veggenze hanno visioni.
Ma i più felici sono quelli che, senza cercare compromessi con il loro presente e con le aspirazioni della stragrande maggioranza dei loro simili, si dedicano senz’altro all’altruismo".
Cosa che io non ho fatto preferendo di gran lunga l'ebrezza e la percezione alterata fornita da abnormi quantitativi di alcool!

Angeli affini
I messaggeri (o Angeli, che dir si voglia) sono riuniti in gruppi, lo abbiamo visto.
Gli Angeli dei Guerrieri sono in 2 (SYT e YLH). Gli Angeli dei Visionari sono in 3: YLM, 'aRY e MWM (e il cuspide HYY).
La cosa particolarmente strana è che la descrizione che ne dà Sibaldi, corrisponde alla descrizione di "me stesso" in alcune particolari giornate o periodi. Come a confermare le affinità di queste "correnti".

Prendiamo YLH (Yelahiyah):
«Io cerco la verità sempre più in alto».
Sembrano avere intorno a sé uno speciale campo di forza, affascinante per chi lo osservi a distanza ma pericoloso, talvolta, per chi vi si avvicini in modo incauto.
Chi per esempio vada a urtare, per le sue azioni o anche soltanto per i suoi modi, il permalosissimo senso di giustizia di uno Yelahiyah pienamente sviluppato, difficilmente potrà cavarsela senza venirne aggredito in maniera più o meno plateale: quel campo di forza saturniano gli si chiuderà intorno e non lo lascerà andare fino a che non gli avrà fatto rimpiangere di essere capitato in quei paraggi.
Chi invece sa restarsene al suo posto e si limita a guardare, ammirerà l’energia che lo Yelahiyah sa emanare: la profondità quasi ipnotica del suo sguardo, l’agilità del portamento, la sonorità sempre suggestiva della sua voce.
Negli Yelahiyah si agitano costantemente una serie di passioni, ciascuna delle quali basterebbe a creare seri problemi a qualunque altro individuo.
L’ambizione, in primo luogo: poiché la tempestosa energia yelahiana non può certo accontentarsi di una vita ordinaria.
Ma questa ambizione può divenire un gelido disprezzo a largo raggio, che coglie anch’esso ogni minima occasione per manifestarsi in giudizi taglienti, provocatori sì, ma sostenuti sempre da una logica ferrea, e corazzati dietro principî che allo Yelahiyah appariranno solidissimi, tanto da troncare qualsiasi possibilità di obiezione, o addirittura di conversazione.
A complicare loro la vita vi è anche la strana tendenza a ritenersi invulnerabili, cosa che, come è noto, se non si controlla non porta mai bene.
Va da sé che, con un animo tanto difficile, prepotente e burrascoso, la soluzione non può essere che una: diventare una star, e il più in fretta possibile. Non importa se a teatro, in un circo o in un negozio: l’essenziale è che per diverse ore al giorno lo Yelahiyah abbia a che fare con un gran numero di persone, e che venga a trovarsi il più possibile al centro della loro attenzione (e questo lo faccio con il mio lavoro... Sono capo servizio: "a me gli occhi e tutta la vostra attenzione! Oggi faremo così e cosà!").
L’esplosiva carica interiore degli Yelahiyah, quando riescono a comunicarla in molte direzioni (come sto provando a fare con questo blog) cambia spesso di segno, e da aggressiva può diventare allegra, brillante, travolgente anche, finché hanno intorno gente che li ascolta e possibilmente applaude.
Se invece lo Yelahiyah deciderà di stare per conto suo, per qualche momento di tetraggine o per esigenze professionali di concentrazione, o magari anche soltanto per riposarsi un po’, la percentuale di rischio crescerà di giorno in giorno.Tra i rischi possibili, collezionerà problemi e malattie complicate. (Ed infatti soffro di tumori maligni allo stomaco e alla vescica... Forse davvero perché ho "deciso di stare molto per conto mio"? - almeno fino a che non ho aperto me stesso in questo blog.
Anche le descrizione degli altri 2 Angeli dei Visionari mi somigliano molto, a giorni alterni.

'aRY (‘Ariy’el)
«Tra le apparenze, come tra una nebbia, io conduco alla verità».
Le qualità eccezionali sono le più difficili da accettare: tutti infatti si sentono un po’ speciali ogni tanto, ma a nessuno piace essere davvero diverso.
Ogni ‘Ariy’el avrebbe molto da raccontare a questo proposito – se l’imbarazzo, il timore anzi dei suoi meravigliosi talenti non l’avessero spinto fin dall’infanzia a tenerli nascosti perfino a se stesso.
In realtà gli ‘Ariy’el sono tutti, per loro natura, veggenti: non sanno spiegarsi, cioè, come mai molte volte al giorno sboccino nella loro mente intuizioni tanto luminose sugli argomenti più diversi.
È sufficiente che provino interesse per qualcosa o qualcuno, ed ecco che già hanno la strana, netta sensazione di saperne moltissimo, di conoscere soprattutto ciò che quel qualcuno nasconde.
Provate a chiedere loro un consiglio su un qualsiasi argomento: nelle loro risposte baleneranno lampi di rivelazione, di cui si stupiranno anche loro, tanto quanto voi.
Ognuno sa che nella nostra epoca è essenziale la specializzazione: ma la mente effervescente degli ‘Ariy’el non sopporta limitazioni al proprio campo d’azione, scopre e smaschera ovunque, e in certi suoi settori è perennemente attraversata da flussi di illuminazioni; dieci professioni non le basterebbero, per poter mostrare ciò di cui è capace!
Se siete un ‘Ariy’el negatevi qualsiasi possibilità di esitare! In fondo, l’unica cosa che occorre a questi profeti, è che imparino a fidarsi di se stessi più che del mondo intorno.
Non importa se appaiono troppo sopra le righe: che possono farci, lo sono davvero! E se tutto ciò che fanno sembra incontenibile, troppo nuovo, troppo diverso, che male c’è? Non sanno fare altro, e nessuno saprebbe farlo meglio di loro.
È sufficiente che smettano di aver paura di sé, e decidano di meritarsi gioia e ricompense. Condizione, quest’ultima, da cui dipende anche la loro felicità privata: com’è possibile, infatti, che chi ti può amare ti ami davvero, se non osi sapere chi sei e non vuoi farlo sapere a nessuno?
MWM (Muwmiyah)
«Io avvolgo da ogni parte ogni mio interrogativo».

MuWM, in ebraico, significa «difetto», e i nati in questi giorni rischiano infatti, in gioventù, di apparire a molta gente come dei disadattati: sempre distratti, inquieti, ansiosi anche, e taciturni.
Ma basta che qualcuno intravveda i loro talenti e li incoraggi un po’, e si riveleranno per quel che sono davvero: individui geniali, che parlano poco e intuiscono moltissimo.
Al loro intelletto piace correre, balzare continuamente avanti, in molte direzioni: tante, che solo con grande fatica riescono a riepilogare tutto ciò che stanno scoprendo, ed è quasi impossibile che riescano a spiegarvi come ci siano arrivati. Raro, perciò, è che diventino scienziati e filosofi – sia perché la lentezza dell’apprendimento scolastico li esaspera, sia perché la nostra scienza e filosofia tendono a dare più importanza al «come» e al «perché», che non al «cosa», e i Muwmyah sono invece affascinati soltanto dai fatti.
Ma ancor più raro è che i protetti di questo Angelo riescano a trovarsi a loro agio in una qualsiasi professione normale, con colleghi, superiori, orari e vacanze: sono troppo intelligenti per impegnarsi in una qualsiasi carriera!
Il loro posto è ai margini della società: e il loro dovere è scegliersi il margine più avanzato, quello che si apre sul futuro, e lì individuare vie nuove, senza preoccuparsi se i loro risultati e la loro stessa personalità saranno, all’inizio, incompresi. Tengano duro.
D’altronde, le loro energie naturali sono enormi; e hanno anche una considerevole dose di fortuna, su cui poter contare: occorre solo che ogni tanto si costringano a mettere a punto un modello – un’invenzione, una teoria, un’opera d’arte, una mappa – di ciò che stanno investigando; e in capo a qualche anno li si acclamerà.
Dipende poi dalle inclinazioni personali se i Muwmiyah preferiranno esaltare le proprie caratteristiche di outsider incompreso o incomprensibile, oppure quelle estroverse, esuberanti, di outsider che ama stupire con l’abbondanza del suo sapere. Va detto a questo proposito che, in ebraico, la parola «mummia» è identica al Nome di Muwmiyah, e che il simbolo della mummia era essenziale nell’iniziazione egizia: rappresentava l’individuo che sa esaminare se stesso, e accorgersi di quanto le sue vere capacità siano strettamente avvolte e nascoste da impedimenti di ogni genere; dopodiché, forte di tale consapevolezza, diventa suo compito liberarsi, mostrarsi, meravigliando gli altri e anche se stesso.
Le due categorie dei Muwmiyah impersonano quasi queste due fasi iniziatiche.
Outsider incomprensibile o Outsider che stupisce?
Mi sa che sono quello incomprensibile...
Seyatel famosi...
