Nel Medioevo le nevrosi ebbero un ruolo importante nella storia della civiltà; esse apparvero in forma epidemica come se risultassero da un contagio psichico e furono alla base di ciò che vi fu di effettivo nella storia delle ossessioni e della stregoneria ia.

Alcuni documenti di quell’epoca provano che la sintomatologia delle nevrosi non ha subito cambiamenti fino ad oggi. Una giusta valutazione e una comprensione migliore si svilupparono soltanto a seguito degli studi di Charcot e della scuola della Salpêtrière che a lui si ispirava. Fino ad allora l’isteria era stata la bète noire della medicina.

I poveri isterici, che nei secoli precedenti erano stati bruciati ed esorcizzati, in epoche più recenti ed illuminate vennero soltanto ridicolizzati; non si pensava che la loro condizione fosse degna di essere sottoposta all’osservazione clinica, in quanto fatta di simulazione ed esagerazione.

L’isteria è una nevrosi nel senso più stretto della parola – vale a dire che non soltanto in questa malattia non si sono trovate alterazioni percettibili del sistema nervoso, ma che non ci si deve neppure aspettare che un perfeziona-mento delle tecniche anatomiche ne riveli alcuna, e si potrebbe esprimere la sua essenza in una formula che tenesse conto delle condizioni di eccitabilità nelle diverse parti del sistema nervoso stesso.

Le paralisi isteriche per esempio non tengono conto della struttura anatomica del sistema nervoso che, come si sa, si rivela estremamente preciso nella distribuzione delle paralisi organiche.

Si può dire che l’isteria nei confronti della scienza della struttura del sistema nervoso sia ignorante quanto lo eravamo noi prima di studiarla.

Accanto ai sintomi fisici dell’isteria si possono osservare numerosi disturbi psichici. Si tratta di alterazioni nel flusso e nell’associazione delle idee, di inibizioni nell’esercizio della volontà, di esaltazione e soppressione di sentimenti, ecc., che possono venire definiti brevemente come alterazioni nella distribuzione nel sistema nervoso della quantità stabile di eccitazione.

La somma delle eccitazioni

Se una persona esperimenta una impressione psichica, nel suo sistema nervoso aumenta un qualcosa che per il momento chiameremo la somma delle eccitazioni.

Ora, in ogni individuo esiste una tendenza a diminuire nuovamente questa somma di eccitazioni, allo scopo di preservare la propria salute.

L’aumento della somma delle eccitazioni avviene lungo le vie sensoriali, e la sua diminuzione lungo quelle motorie.

Così possiamo dire che se qualcosa viene in urto con qualcuno, questi reagisce per via motoria. Ora possiamo affermare con sicurezza che la misura in cui l’impressione psichica iniziale rimane dipende da questa reazione. Vediamo tutto ciò in rapporto con un determinato esempio.

Supponiamo che un uomo venga insultato e riceva un colpo o qualcosa del genere. Il trauma psichico è legato ad un aumento nella somma delle eccitazioni del suo sistema nervoso. A questo punto nasce istintivamente la tendenza a ridurre immediatamente questo aumento dell’eccitazione. Egli restituisce il colpo ed allora si sente più tranquillo; può forse aver reagito in modo adeguato – vale a dire, può aver eliminato tutto il sovrappiù di eccitamento.

Ora questa reazione può assumere diversi aspetti. Infatti saranno forse sufficienti delle alterazioni fisiche, il piangere, l’insultare, l’infuriarsi, per degli aumenti nell’eccitazione abbastanza leggeri.

Più forte è il trauma, maggiore è la reazione adeguata. La reazione più adeguata, comun-que, è sempre un atto.

Ma, come ha argutamente osservato uno scrittore inglese, l’uomo che per primo lanciò al suo nemico un insulto invece che una freccia, fu il fondatore della civiltà. Perciò le parole sostituiscono i fatti, ed in certe occasioni, ne sono l’unico sostituto.

Dunque, a fianco della reazione adeguata, ne esiste una che è meno adeguata.

Se poi non c’è alcuna reazione al trauma psichico, il ricordo di esso conserva l’affetto che aveva inizialmente.

Se per qualche motivo non può esserci reazione al trauma psichico, esso conserva il suo valore affettivo originale, e quando qualcuno non può liberarsi dell’aumento dello stimolo attraverso la «abreazione», è possibile che l’avvenimento in questione resti per lui un trauma psichico.

Incidentalmente, un meccanismo psichico sano ha altri metodi per trattare l’affetto di un trauma psichico anche se gli vengono negate la reazione motoria e la reazione verbale – cioè può lavorare su di esso con delle associazioni, producendo idee contrastanti.

La persona che è stata insultata, anche se non restituisce il colpo o non risponde con un insulto, può egualmente ridurre l’affetto dell’offesa richiamando idee contrastanti come quelle del proprio valore, dell’indegnità del nemico e così via.

Un essere umano sano, che reagisca o no all’insulto, riesce sempre ad ottenere che l’affetto, originariamente molto forte nella sua memoria, perda infine la sua intensità e che in ultimo il ricordo, perduto il suo affetto, cada nell’oblio e si logori.

I pazienti isterici soffrono di traumi psichici non completamente sottoposti ad abreazione.

Nell’isteria, l’idea incompatibile è resa innocua dal fatto che la sua somma di eccitazione è trasformata in qualcosa di somatico.

Per questo procedimento proporrei il nome di «conversione».

La conversione può essere sia totale che parziale. Essa procede lungo quella linea dell’innervazione motoria o sensoriale che è connessa – intimamente o più vagamente – all’esperienza traumatica.

In questo modo l’Io riesce a liberarsi della contraddizione (che si trovava a dover affrontare); ma per contro si è gravato di un simbolo mnestico che trova un posto nella coscienza, come una specie di parassita, in forma di innervazione motoria insolubile, o come sensazione allucinante costantemente ricorrente, e che persiste fino a quando non abbia luogo una conversione nella direzione opposta.

Di conseguenza, la traccia mnestica dell’idea rimossa, dopotutto, non è stata dissolta; d’ora in poi formerà il nucleo di un secondo gruppo psichico.

Semplicemente l’Io non può portare a termine il compito che, nel suo atteggiamento difensivo, si è assegnato, e che consiste nel trattare l’idea incompatibile come non arrivée.

Sia la traccia mnestica che l’affetto che è unito all’idea sono là una volta e per sempre e non possono venire sradicati.

Però se l’Io riesce a mutare . questa idea potente in una debole, privandola dell’affetto – la somma dell’eccitazione – di cui essa è carica, allora è giunto ad un adempimento approssimativo del compito.

L’idea debole, quindi, non avrà, virtualmente, alcuna esigenza nel lavoro di associazione. Ma si dovrà fare altro uso della somma di eccitazione che si è distaccata da essa.

Se qualcuno con una predisposizione (alla nevrosi) manca dell’attitudine per la conversione, ma se, cionondimeno, per stornare un’idea incompatibile, egli incomincia a separarla dal suo affetto, allora quell’affetto è obbligato a rimanere nella sfera psichica.

L’idea, ora indebolita, è ancora lasciata nella coscienza, separata da qualsiasi associazione. Il suo affetto, però, che è diventato libero, si attacca ad altre idee che, di per se stesse, non sono incompatibili; e, grazie a questa «falsa relazione», quelle idee si tramutano in idee ossessive.

Nelle funzioni mentali si deve distinguere qualcosa – importo affettivo o somma di eccitazione – che possiede tutte le caratteristiche di una quantità (benché non abbiamo alcun mezzo per misurarla), che è suscettibile di aumento, diminuzione, spostamento e scarica e che si propaga sulle tracce mnestiche delle idee, un po’ come una carica elettrica sulla superficie di un corpo.

A questa ipotesi, si può dare lo stesso senso che il fisico dà al flusso di un fluido elettrico.

Eccitazioni toniche intracerebrali

Conosciamo due condizioni estreme del sistema nervoso centrale: un chiaro stato di veglia e un sonno senza sogni.

La transizione tra questi due stati è rappresentata da condizioni aventi tutti i gradi decrescenti della chiarezza.

Quello che qui ci interessa non è la questione dello scopo del sonno e della sua base fisica (i suoi determinanti chimici ο vasomotori), ma è la questione della distinzione essenziale tra le due condizioni.

Non possiamo fornire informazioni dirette sul sonno più profondo e senza sogni, proprio per la ragione che tutte le osservazioni ed esperienze sono escluse dallo stato di incoscienza totale. Ma per quel che riguarda la condizione confinante con la precedente, di sonno accompagnato da sogni, si possono fare le seguenti affermazioni.

In primo luogo, quando in questa condizione intendiamo compiere dei movimenti volontari (come parlare, camminare, ecc.) ciò non ci porta a compiere contrazioni muscolari, cui sia dato il via volontariamente, come nella vita di veglia.

In secondo luogo, le stimolazioni sensoriali forse sono percepite (perché esse entrano nei sogni) ma non appercepite, vale a dire che non diventano percezioni coscienti.

Ancora: le idee che emergono non attivano, come nella vita di veglia, tutte le idee connesse con loro e che sono presenti in potenza nella coscienza, ma anzi queste rimangono in larga misura non evocate, (per esempio, ci troviamo a parlare con una persona defunta senza ricordarci che è morta). Inoltre idee incompatibili possono essere presenti simultaneamente senza inibirsi a vicenda, come invece avviene nella vita di veglia.

Dunque l’associazione è manchevole e incompleta.

Possiamo presumere con sicurezza che nel sonno più profondo questa interruzione delle connessioni tra gli elementi psichici sia portata oltre fino a diventare totale.

D’altro canto, quando siamo pienamente desti, ogni atto di volontà dà inizio ai corrispondenti movimenti; le impressioni sensoriali diventano percezioni coscienti e le idee entrano in associazione con l’intero deposito potenzial-mente presente nella coscienza.

In questa condizione il cervello funziona come un’unità con complete connessioni interne.

Forse non faremmo altro che descrivere questi fatti con altre parole se dicessimo che nel sonno le vie di collegamento e di conduzione del cervello non sono percorribili da parte di eccitazioni degli elementi psichici (cellule corticali?), mentre nella vita di veglia sono completamente percorribili.

L’esistenza di queste due differenti condizioni delle vie di conduzione può essere resa comprensibile, sembra, solo se supponiamo che nella vita di veglia quelle vie siano in stato di eccitazione tonica e che questa eccitazione intracerebrale è ciò che determina la capacità di conduzione di dette vie, e che la riduzione ο scomparsa di questa eccitazione è ciò che instaura lo stato di sonno.

Non bisogna pensare a una via di conduzione cerebrale come a qualcosa di simile a un cavo telefonico, che è eccitato elettricamente solo nel momento in cui deve funzionare (vale a dire, nel presente contesto, quando deve trasmettere un segnale); dovremo paragonarlo, invece, ad una linea telefonica lungo la quale vi è un flusso costante di corrente galvanica e che non può più essere eccitata se la corrente cessa.

Ο meglio, immaginiamo un sistema elettrico ampiamente ramificato per scopi di illuminazione ο di trasmissione di energia motrice. Ciò che ci attenderemo da questo sistema è che il semplice stabilirsi di un contatto accenda tutte le lampade ο metta in funzione tutti i motori.

Per rendere possibile ciò, in modo che tutto sia pronto per funzionare, vi deve essere una certa tensione presente in tutta la rete di fili conduttori, a questo fine, la dinamo dovrà erogare una determinata quantità di energia.

Proprio nella stessa maniera un certo quantitativo di eccitazione è presente nelle vie di conduzione del cervello, quando questo è in riposo ma desto e pronto a lavorare.

Questo modo di concepire la questione è confortato dal fatto che semplicemente l’essere desti, senza compiere alcun lavoro, dà luogo ad affaticamento e provoca il bisogno di dormire. Lo stato di veglia in sé causa un dispendio di energia.

Ogni grado di ridotta vigilanza, fino alla sonnolenza e al sonno vero e proprio, si accompagna a livelli di eccitazione proporzionalmente più bassi. 


Quando il cervello sta compiendo un lavoro effettivo, si richiede certamente un maggiore dispendio energetico di quando è semplicemente preparato a compiere il lavoro (proprio nella stessa maniera il sistema elettrico, descritto più sopra a scopo di similitudine, deve far sì che una maggiore quantità di energia elettrica fluisca nei conduttori allorché un gran numero di lampade ο di motori viene inserito nel circuito).

Là dove il funzionamento è normale non viene liberata più energia di quanta non ne venga spesa immediatamente per l’attività.

Però il cervello si comporta come uno di quei sistemi elettrici di capacità limitata, che non sono in grado di produrre nello stesso tempo una grande quantità sia di luce sia di lavoro meccanico.

Se trasmette forza motrice, rimane disponibile solo un piccolo quantitativo di energia a scopo di illuminazione e viceversa.

Pertanto noi ci accorgiamo che se stiamo compiendo notevoli sforzi muscolari non riusciamo a impegnarci in pensieri continui, ο che, se concentriamo l’attenzione su un ambito sensoriale, la capacità degli altri organi cerebrali viene a ridursi, vale a dire ci accorgiamo che il cervello lavora con un quantitativo di energia variabile, ma limitato.

Noi destiamo un dormiente – vale a dire che ne accresciamo all’improvviso il livello di eccitazione tonica intracerebrale – facendo agire su di lui un intenso stimolo sensoriale.

Non è ancora affatto chiaro come avvenga il risveglio spontaneo: se sia sempre una stessa sezione del cervello che per prima entra in stato di eccitazione di veglia, e che poi tale eccitazione si diffonda da quel punto, ο se sia a volte un gruppo di elementi e a volte un altro che esercita la funzione di risveglio.

Un muscolo resta privo di stimolo e quiescente, per quanto a lungo possa essere rimasto in stato dì riposo e anche se ha accumulato il massimo livello di forza contrattile. Lo stesso non può dirsi degli elementi cerebrali.

Siamo sicuramente nel giusto supponendo che durante il sonno, essi riacquistano la loro condizione iniziale e accumulino energia e tensione. Allorché il processo è arrivato a un certo punto, quando cioè, potremmo dire, è stato raggiunto un certo livello, l’eccesso fluisce nelle vie di conduzione, le facilita e instaura l’eccitazione intracerebrale propria dello stato di veglia.

Noi possiamo trovare un istruttivo esempio dello stesso fenomeno nella vita di veglia. Quando il cervello desto è rimasto quiescente per diverso tempo senza trasformare la tensione in energia attiva tramite l’esplicazione delle sue funzioni, insorgono il bisogno e l’impulso ad agire.

Una prolungata inattività motoria crea il bisogno di movimento (si pensi alla corsa in tondo, priva di scopo, di un animale in gabbia) e se questo bisogno non può essere soddisfatto sorge una sensazione di disagio.

La mancanza di stimoli sensoriali, l’oscurità e il silenzio completo diventano una tortura; il riposo mentale, la mancanza di percezioni, di idee e di un’attività associativa provocano il tormento della noia.

Queste sensazioni spiacevoli corrispondono a un «eccitamento», a un incremento del normale stato di eccitazione intracerebrale.

Dunque gli elementi cerebrali, dopo essere completamente ristorati, liberano un certo quantitativo di energie anche quando sono in riposo, e se questa energia non è impiegata funzionalmente, essa accresce la normale eccitazione intracerebrale.

Il risultato è un senso di disagio.

Queste sensazioni compaiono sempre quando una delle necessità dell’organismo non viene soddisfatta. Poiché queste sensazioni scompaiono quando venga impiegato funzionalmente l’eccesso di energia che è stato liberato, possiamo concludere che la dissipazione di questo eccesso è una necessità per l’organismo.

E qui per la prima volta ci troviamo dinanzi alla constatazione che nell’organismo esiste una «tendenza a mantenere costante il livello di eccitazione intracerebrale» (Freud).

Tale eccesso di eccitazione intracerebrale costituisce un peso e un fastidio, e, conseguentemente, si manifesta un impulso a utilizzarlo.

Se non può essere impiegato in un’attività sensoriale ο ideativa, l’eccesso si scarica attraverso un’attività motoria senza scopo, come camminare su e giù ecc., la quale è il sistema più comune per scaricare la tensione eccessiva. 


Abbiamo parlato di una tendenza da parte dell’organismo a mantenere costante l’eccitazione tonica cerebrale. Però una tendenza di questo tipo è comprensibile solo se possiamo sapere a quali necessità soddisfi.

Penso che si possa anche affermare che esiste un livello ottimale di eccitazione intracerebrale.

A questo livello di eccitazione tonica il cervello è accessibile a tutti gli stimoli esterni, i riflessi sono agevolati, sia pure soltanto nei limiti di una normale attività riflessa, e il patrimonio di idee può essere stimolato e aperto all’associazione grazie ai reciproci rapporti tra singole idee, che corrispondono a uno stato mentale lucido e ragionato.

È in questo stato che l’organismo è meglio preparato al lavoro. La situazione è già alterata da quell’uniforme innalzamento di livello dell’eccitazione tonica, che costituisce lo «stato di attesa».

Questa rende l’organismo iperestesico nei confronti degli stimoli sensoriali, che ben presto diventano penosi, e inoltre ne accresce l’eccitabilità riflessa oltre i limiti dell’utilità (facilità alla paura).

Senza dubbio questo stato è utile in determinate circostanze e per determinati scopi, ma se esso si manifesta spontaneamente e non per una qualunque delle sopraddette ragioni, esso non migliora il nostro rendimento, anzi lo ostacola.

Nella vita ordinaria definiamo questo stato come essere «nervosi». Però, nella grande maggioranza delle forme di aumento dell’eccitazione, la sovreccitazione non è uniforme ed è sempre nociva al rendimento. Chiamiamo questo stato: «eccitamento».

Ancora una volta voglio avventurarmi in un’analogia con una rete elettrica di illuminazione. Anche qui la tensione nella rete di conduzione ha un livello ottimale. Se questo viene superato, il funzionamento generale peggiora. Per esempio, i filamenti delle lampade possono rapidamente bruciare.

Il linguaggio, prodotto dell’esperienza di tante generazioni, distingue con ammirevole finezza tra quelle forme e gradi progressivi di eccitazione che sono ancora utili per l’attività mentale (cioè nonostante siano già superiori all’optimum), in quanto esaltano uniformemente l’energia libera di tutte le funzioni cerebrali, e quelle forme e gradi che ostacolano detta attività perché in parte accrescono e in parte inibiscono queste funzioni psichiche, in maniera non uniforme.

I primi ricevono il nome di «incitamento» e i secondi di «eccitazione».

Una conversazione interessante ο una tazza di tè ο caffè hanno un effetto «incitante» (stimolante); un litigio ο una dose eccessiva di alcool hanno un effetto «eccitante».

Mentre l’incitamento produce solamente il desiderio di utilizzare in modo funzionale l’accresciuta stimolazione, l’eccitazione cerca di scaricarsi in maniera più ο meno violenta, quasi patologica ο addirittura nettamente patologica.

Devo brevemente accennare ad alcune cause fisiologiche ed endogene dell’incremento di eccitazione. Tra queste si trovano, in primo luogo, le principali necessità fisiologiche dell’organismo e gli istinti: bisogno di ossigeno, desiderio di cibo e sete.

Poiché l’eccitazione che essi scatenano è legata a certe sensazioni e a idee attinenti a un fine, non si tratta in questo caso di un esempio di incremento dell’eccitazione così puro come quello descritto sopra, che trae origine dalla quiescenza degli elementi cerebrali.

L’incremento di eccitazione che proviene da queste cause è determinato dalle modificazioni di origine chimica a carico degli elementi cerebrali, i quali si trovano a corto di ossigeno, di energia di tensione ο d’acqua.

Essa si incanala lungo vie motorie preformate che portano alla soddisfazione del bisogno che ha messo in moto il meccanismo: la dispnea porta a respirare con sforzo, la fame e la sete a cercare e raggiungere il cibo e l’acqua.

Il principio della costanza dell’eccitazione entra pochissimo in gioco nel caso di questo tipo di eccitazione. Infatti gli interessi serviti da questo aumento di eccitazione sono in questi casi ben più importanti per l’organismo che non il ristabilimento delle normali condizioni di funzionamento del cervello.

È vero che vediamo gli animali dello zoo correre eccitati avanti e indietro all’ora dei pasti, ma ciò può essere sicuramente interpretato come un residuo dell’attività motoria destinata alla ricerca del cibo attualmente inutile a causa delle condizioni di cattività, anziché un modo per liberare il sistema nervoso dell’eccitazione.

Se la struttura chimica del sistema nervoso è stata alterata permanentemente dall’introduzione prolungata di sostanze estranee, allora la carenza di queste sostanze provocherà uno stato di eccitazione, così come fa la carenza di normali sostanze nutritive negli individui sani. Troviamo quest’eccitazione nei casi di astinenza dai narcotici.

L’istinto sessuale, senza dubbio, è la causa più forte degli aumenti persistenti di eccitazione (e quindi di nevrosi).

Un disturbo come quello dell’equilibrio dinamico del sistema nervoso – distribuzione non uniforme dell’aumentata eccitazione – è quello che costituisce l’aspetto psichico delle emozioni.

Può essere ammesso, come evidente di per sé, che tutti i disturbi dell’equilibrio mentale che noi chiamiamo emozioni acute, si accompagnano a un incremento di eccitazione. (Nel caso di emozioni croniche, come il dolore e la preoccupazione, vale a dire l’ansia prolungata, compare la complicazione rappresentata da uno stato di grave affaticamento che, pur lasciando sussistere la non uniforme distribuzione dell’eccitazione, almeno ne riduce l’intensità). Ma questo incremento di eccitazione non può trovare impiego nell’attività psichica.

Tutte le emozioni potenti riducono l’associazione, la concatenazione di idee. Gli individui diventano ’insensati’ per l’ira ο la paura. Nella coscienza persiste soltanto il gruppo di idee che ha scatenato l’emozione, e vi persiste con estrema intensità. Quindi l’eccitazione non può essere sedata dall’attività associativa.

Le emozioni «attive» ο «steniche», però, sedano l’aumento di eccitazione mediante la scarica motoria. Il gridare e saltare di gioia, l’aumento di tono muscolare nell’ira, le parole furibonde e gli atti di ritorsione, sono tutti fatti che permettono all’eccitazione di scaricarsi nel movimento.

Il dolore psichico si scarica in difficoltà respiratoria e in attività secretoria: singhiozzi e lacrime.

L’esperienza quotidiana ci dimostra che tali reazioni riducono e leniscono l’eccitazione.

Come già abbiamo rilevato, il linguaggio ordinario si esprime con frasi come «sfogarsi nel pianto» «buttar fuori», ecc. Ciò di cui ci si sbarazza, altro non è che l’incremento dell’eccitazione cerebrale.

Soltanto alcune di queste reazioni, quali le azioni e le parole dettate dall’ira, servono a uno scopo nel senso di determinare effettivi cambiamenti dello stato di cose. Il resto non serve ad alcun fine, ovvero il suo solo scopo è di sedare l’aumento di eccitazione e di ristabilire l’equilibrio psichico.

Nei limiti in cui ottiene questo scopo, esso serve alla «tendenza a mantenere costante l’eccitazione intracerebrale».