Prefazione 

Cosa accadrebbe alla tua vita se adottassi il Paradigma dell’Islam? Diventerai un terrorista o un perfetto bigotto che crederebbe che le donne devono stare zitte e ubbidire? Qual è la vera Visione del Mondo dell’Islam? Cosa significa la parola Islam?! Non si può venire a conoscenza di un ennesimo omicidio di camorristi e decretare che tutti i calabresi siano mafiosi o camorristi. Non si può scoprire un ennesimo prete pedofilo e pensare che tutta la Chiesa sia marcia. Non si può ascoltare un ennesimo femminicidio in un notiziario e sancire che tutti i maschi sono dei violenti prepotenti e assassini. Perché, quindi, quando si ricevono notizie di atti di terrore perpetrati in nome dell’Islam oppure quando alcuni reportage evidenziano una certa cultura retrograda in qualche stato arabo o filo-arabo la causa ed il male è sempre e solo l’Islam e non quel cerchio ristretto di persone che agiscono per conto proprio e secondo la loro piccola, molto piccola intelligenza?

Molti di noi dichiarano di detestare gli orrori della Seconda Guerra Mondiale ed ogni fascismo ma siamo, in realtà, sempre pronti a fare di tutta l'erba un fascio.

Le ragioni per cui l’Islam è poco conosciuto – o conosciuto male – sono molte. La causa maggiore è da addebitare a molti di quelli che si professano musulmani ed in realtà si comportano in un modo totalmente estraneo al dettato qur’anico – non è una novità: anche la stragrande maggioranza dei cosiddetti cristiani si comporta in modo totalmente contrario agli insegnamenti di Gesù. La religione si accetta così come la si assorbe crescendo nel proprio mondo senza farsi troppe domande – così come in una famiglia di romanisti si diventa romanisti e guai a tifare per la Lazio! Il cristianesimo, l’induismo, l’ebraismo o l’Islam o qualsiasi altra credenza diventa parte della nostra Visione del Mondo solo perché siamo cresciuti in quel tale posto ed in quella tale famiglia. Ma la nostra Visione del Mondo, il nostro paradigma, è quanto di più potente la nostra mente contenga. I paradigmi guidano interamente le nostre azioni esteriori e le nostre emozioni interiori, oggigiorno è oramai un dato di fatto, è assodato.

Anche l’Islam ha una sua propria Visione del Mondo, cioè di come le cose sono e/o dovrebbero essere e posso garantirti che non è quello che si comprende vedendo agire molti di quelli che si professano musulmani – allo stesso modo come non si potrebbe comprendere gli insegnamenti di Gesù vedendo agire quelli che si professano cristiani.

In questo libro, se vorrai, mi farai l’onore di guidarti alla scoperta del tuo Paradigma confrontandolo allo stesso tempo con quello presentato dall’Islam per come lo si conosce solo ed esclusivamente dalla lettura del Qur’an e dai racconti riguardanti i detti e la vita del profeta Muhammad.

Per comprendere la vera destinazione che stai dando – consapevolmente o inconsapevol-mente – alla tua vita.


01 – Burattini senza fili

Islam è una parola araba di difficile traduzione in lingua italiana, non abbiamo un corrispettivo adeguato. La si può tradurre con i termini sottomissione, abbandono, consegna totale di sé a Dio. Nella logica comune è considerata come una religione monoteista di derivazione abramitica ma la parola religione non descrive con sufficiente giustizia l’Islam.

Si fa derivare la parola religione dal latino religio… che però non si capisce bene cosa voglia dire. Secondo alcuni la parola originerebbe dal verbo relegere, ossia “ripercorrere” o “rileggere”, intendendo una riconsiderazione diligente di ciò che riguarda il culto degli dèi. Tito Lucrezio Caro, circa 70 anni prima di Gesù, fece invece derivare religio dalla radice di re-ligare, nel significato di “legami che uniscono gli esseri umani a certe pratiche” – in questo senso sarebbe una religione andare ogni domenica allo stadio… e per molti lo è! Nella mente comune religione è comunque un termine che descrive un certo atteggiamento, un certo numero di credenze e un certo numero di pratiche e riti che si eseguono – o meno – solo perché… è così.

La parola araba che spesso viene tradotta con il termine italiano religione è Din. Ma la traduzione corretta della parola Din è Giudizio. Per il Qur’an, l’Islam è un din, un giudizio. Anche il cristianesimo o l’ebraismo sono din, ovvero: giudizi. E cosa vorrebbe dire mai l’Islam è un giudizio?! Un giudizio è una valutazione strettamente legata alla nostra innata capacità di valutare o definire. Tutti noi abbiamo e decretiamo molti giudizi nel corso della nostra esistenza, sempre, tutti i giorni e sui più svariati argomenti. E tutti noi crediamo che il nostro giudizio sia sempre quello corretto e sensato, immancabilmente – anche se, fortunatamente, molti di noi riconoscendo un errore di valutazione, sono pronti a modificare il proprio giudizio e a riformularlo. Non tutti, purtroppo.

La parola paradigma è ormai di uso comune ma non credo se ne sia ancora compresa l’importanza e la rilevanza nell’ambito del quotidiano. I nostri paradigmi sono le cause dei nostri pensieri e quindi delle nostre azioni e, in ultima analisi, dei risultati che otteniamo. Come dice Bob Proctor nel suo libro “Cambia Paradigma. Cambia la Vita”: un paradigma è una moltitudine di idee impresse nella mente subconscia. Le idee impresse nel subconscio sono conosciute col termine “abitudini”. Un paradigma è quindi una moltitudine di ABITUDINI impresse nel subconscio.

Quello che qui è importante rilevare è che le nostre abitudini – ovvero, i nostri paradigmi – comandano e dirigono il nostro comportamento in maniera completamente automatica. Abbiamo fatto consapevolmente – o inconsapevolmente – delle scelte e adesso viviamo con il pilota automatico inserito; diamo una sistematina alla rotta ogni tanto ma la nostra destinazione – impostata dal nostro, spesso inconsapevole, paradigma – resta sempre quella che deriva dall’insieme delle nostre abitudini. Non tutti riescono ad avere consapevolezza di dove stiano andando. Per lo più viviamo e speriamo in bene, ma spesso ci ritroviamo in guai più seri di quelli che ci aspettavamo.

Non sarà mai sottolineato abbastanza: è assolutamente necessario alla buona riuscita di ogni esistenza ottenere piena consape-volezza del paradigma che manovra e dirige le nostre vite.

A meno che non si voglia consapevolmente vivere come dei burattini senza fili.


02 – Il centro

Stephen R. Covey nei suoi libri lo spiega molto bene, possiamo cambiare alcuni aspetti del nostro paradigma in un solo attimo. In una veloce esperienza a-ha il mondo cambia totalmente assetto, sostanza e forma.

Riporta ne Le 7 Abitudini delle Persone Altamente Efficienti questo aneddoto: Due navi da guerra, utilizzate per attività di formazione, erano state per molti giorni al largo per esercitarsi in manovre in condizioni difficili. Il marinaio che racconta questa storia come sua esperienza personale prestava servizio sulla nave di comando ed era di guardia notturna, sul ponte. La visibilità era scarsa, con banchi di nebbia, e così il capitano rimase con l’equipaggio sorvegliandone le varie attività. Poco dopo l’imbrunire, l’uomo di vedetta gridò: “Luce a tribordo!”. “Ferma o in allontanamento?” gridò il capitano. “Ferma, capitano”, rispose la vedetta. Questo significava che erano su una pericolosa rotta di collisione con quella nave. Allora il capitano ordinò al segnalatore: “Segnala a quella nave: siamo in rotta di collisione, vi consiglio di correggere la rotta di 20 gradi”. Giunse di rimando questa segnalazione: “Correggete voi la rotta di 20 gradi”. Il capitano disse: “Trasmetti: io sono un capitano, correggete la rotta di 20 gradi”. “Io sono un marinaio di seconda classe”, fu la risposta, “correggete voi la rotta di 20 gradi”. Il capitano era furente. “Trasmetti”, ringhiò, “sono una nave da guerra: correggete la rotta di 20 gradi!”. Rispose la luce lampeggiante: “Io sono un faro, correggetela voi, la rotta, di 20 gradi”. Cambiarono rotta.

Esperienze simili ne facciamo anche noi, spesso. Molte volte siamo così convinti di quello che vediamo con gli occhi della mente da non accettare il semplice pensiero che la realtà può essere molto diversa, come quando cerchiamo una penna e non la troviamo e poi qualcuno ci mostra che la penna era lì, proprio davanti ai nostri occhi. Ma i paradigmi sono molto più complessi di così.

Un’esperienza a-ha modifica il nostro modo di vedere o comprendere una determinata cosa o situazione ma questo fatto può non modificare la parte centrale della nostra Visione del Mondo, quindi, mentre è vero che un’esperienza a-ha in qualche modo contribuisce a farci vedere e comprendere il mondo in un modo diverso, è pur vero che sostanzialmente la nostra destinazione di viaggio può restare sempre quella e che la totalità delle idee e abitudini presenti nel nostro paradigma continua a farla da padrone.

Un paradigma si comincia a formare nel momento esatto del nostro concepimento e continua a svilupparsi per il resto della nostra vita ed è una realtà mentale molto dinamica, in continua evoluzione ma che presenta aspetti che, nel tempo e con l’educazione ricevuta, si cristallizzano e diventano resistenti a qualsiasi forma di cambiamento si volesse imporre.

Se hai problemi di peso e vorresti dimagrire o fumi sigarette e hai provato a smettere sai benissimo di cosa sto parlando. Consciamente e, spesso con tutto il tuo cuore, hai preso la decisione di dimagrire o smettere di fumare e fisicamente cominci ad attuare tutta una serie di azioni che ti porteranno verso il tuo obiettivo ma, dopo qualche tempo – e nemmeno così lontano nel futuro – ti ritrovi a mangiare nuovamente cibo che sai ti farà ingrassare ancora o accenderai una sigaretta ben sapendo che presto ne accenderai un’altra e poi un’altra ancora. E’ il tuo paradigma che comanda e – come il pilota automatico di un aereo – ti riporta verso la destinazione che l’insieme delle tue idee e abitudini impone alla tua vita.

Alcuni, in seguito ad un’esperienza traumatica di dolore fisico percepito con grande intensità, riescono – grazie a queste spiacevoli esperienze – a modificare le parti centrali del proprio paradigma e modificano in maniera sostanziale le loro idee e abitudini così da riuscire a vivere secondo il loro peso forma o riescono a smettere di fumare – che è una cosa molto diversa dallo smettere di accendere sigarette ma restare sostanzialmente, nel profondo, un fumatore.

Per comprenderlo meglio, possiamo schematizzare la forma di un paradigma come nel disegno qui sotto:

È come il volante di un’automobile o il timone di una nave; è infatti lo strumento che utilizziamo per guidare la nostra vita in direzione di ciò che vorremmo raggiungere. L’unica differenza è che al contrario di un’automobile o di una nave non abbiamo la visibilità offerta dal parabrezza o dall’orizzonte aperto del mare. Guidiamo e navighiamo al buio. E’ come se un velo davanti ai nostri occhi ne impedisse la chiara vista.

Nello schema di ogni nostra Visione del Mondo – per come lo immagino io – vi è un centro e tutta una serie di argomenti intorno. Centro e Argomenti sono tutti formati da idee e abitudini, sono come dei serbatoi, dei contenitori. Quello che c’è all’interno di questi contenitori, per quanto forte e radicato nel nostro essere, può essere modificato – almeno potenzialmente.

Hai mai sentito di persone che, essendo molto ricche, nel giorno del loro tracollo finanziario, con tutte le possibilità di questo mondo disponibili per loro per rifarsi una vita decente, si suicidano invece? Nel 2009 il miliardario tedesco Adolf Merckle si è gettato sotto un treno perché il suo impero finanziario RISCHIAVA il fallimento. Era l’uomo più ricco della Germania, a capo di un vero impero finanziario da 30 miliardi di euro; il suo personale patrimonio era stimato a circa 9 miliardi e 200 milioni di euro. Poco prima della sua morte era stato al centro delle cronache per un investimento in Volkswagen. Il miliardario aveva scommesso sul ribasso in Borsa della casa automobilistica, mentre il titolo è invece volato al rialzo e Merckle ha riportato pesanti perdite stimate attorno al miliardo di euro. Anche altre speculazioni finanziarie andate male lo avevano costretto a chiedere aiuto alle banche per ottenere finanziamenti con cui poter salvare la finanziaria di famiglia, la Vem. Molte anche le voci su una possibile cessione di quote di altre aziende di famiglia. Insomma, aveva fatto un pò un pasticcio. Nelle ultime settimane di vita era alla ricerca di fondi per salvare la Vem, a rischio insolvenza, e il mese prima del suo suicidio aveva già trovato un accordo preliminare con una trentina di banche creditrici. Adesso, voglio dire, con un patrimonio di miliardi di euro e con tutta una serie di accordi preliminari con le banche creditrici che avrebbero favorito il recupero, nel tempo, degli investimenti che non avevano prodotto i risultati desiderati, tu… ti suicidi? Lasciando una moglie e quattro figli sgomenti? Chiunque conosco se possedeva anche molto meno di 9 miliardi di euro di patrimonio penserebbe a tutto tranne che a togliersi la vita. Non è stato così per Adolf Merckle; ciò che aveva al centro del suo paradigma non glielo ha permesso.

Al centro del nostro paradigma c’è il fulcro del nostro senso d’identità, quello che noi reputiamo essere il nostro valore intrinseco, l’’idea o il pensiero di ciò che guida la nostra vita e la nostra comprensione del modo in cui le varie parti, i vari argomenti della nostra vita interagiscono e sono connessi tra loro. Con buona probabilità al centro del paradigma di Adolf Merckle c’era Sé Stesso e la sua capacità di individuare investimenti che producevano grandi ricchezze; nel momento in cui sbagliò la scommessa sul ribasso in Borsa della Volkswagen deve essersi sentito perduto e aver smarrito il suo stesso senso d’identità. Già scommettere in Borsa è un grande azzardo, quasi da irresponsabile e poi… come poteva essere successo? si sarà chiesto: cosa gli era preso?! Lui non sbagliava! Lui era responsabile! Lui non era più Sé Stesso.

Perdere il proprio centro svuota l’esistenza di ogni suo possibile significato, non dovrebbe condurre automaticamente al suicidio ma, al concorrere di altre abitudini o idee presenti nel proprio paradigma, quella può diventare la nostra prossima destinazione. I paradigmi sono potenti, molto potenti e agiscono a nostra insaputa – è bene rendersene conto quanto prima.


03 – Gli argomenti

Come possiamo conoscere e, quindi, controllare il nostro paradigma? Non è esattamente facile realizzare questo tipo di conoscenza anche se possiamo disegnare e comprendere buona parte del nostro paradigma fermandoci a riflettere su cosa pensiamo – o crediamo di pensare – su ogni argomento costituente. La cosa è resa più complessa, oltre che dal fatto che un paradigma è qualcosa di dinamico e non statico, anche dal fatto che a volerlo rappresentare con maggiore precisione dovremmo seguire l’impostazione come dal disegno qui sotto:

Cioè, per ogni cerchio contenitore, per ogni argomento e per ogni centro, dobbiamo immaginare che esista al suo interno una struttura simile che rispecchia il centro di quello specifico argomento con tutti gli argomenti propri e relativi a quel centro che vi orbitano intorno… e per ognuno dei cerchi interni di centro o argomenti che ci siano nel disegno, altre strutture simili al loro interno come in un sistema di matrioske con possibilità potenzialmente infinite di approfondimento!

Gli argomenti della nostra vita – centro compreso – possono essere anche più o anche meno degli 11 che ho segnalato nella mia versione grafica di come comprendo funzioni un paradigma, mi sembra comunque che questi 11 possano riassumere la parte più sostanziale delle nostre esistenze. Quello che sta al centro non dipende da noi fino a che non ne acquisiamo consapevolezza e – se non ci sta bene – lo modifichiamo. Tutti abbiamo una seppur minima idea di cosa pensiamo, anche a livello sommario, di ognuno di questi argomenti. Il denaro, per esempio. Tutti sappiamo cos’è e tutti ci rapportiamo con l’idea di denaro in qualche modo. Analizzare il nostro personale concetto del denaro è un’esperienza che mi sento di consigliare a chiunque- mi viene in mente il lavoro di Robert Kiyosaki ( Padre Ricco Padre Povero ) ma anche quello di Anthony Robbins e del bravissimo Massimiliano Acerra. L’idea contenuta nel nostro paradigma riguardo al denaro decide inesorabilmente le sorti delle nostre finanze – entro i limiti stabiliti da Dio per quel che riguarda i nostri personali mezzi di sostentamento. Similmente si può ragionare sugli altri 10 argomenti. Per facilitare, li elenco qui uno per uno. Chiediti cosa pensi al riguardo e cosa credi stia al centro del tuo paradigma generale.

  • DENARO
  • LAVORO
  • BENI
  • PIACERE
  • AMICIZIE
  • NEMICI
  • SOCIETA’
  • TE STESSO
  • PARTNER
  • FAMIGLIA
  • DIO

Un aiuto fondamentale ci viene offerto, come già anticipato, dal lavoro di Stephen R. Covey. Nel suo libro Le 7 Abitudini delle Persone Altamente Efficienti, Covey analizza le possibilità offerte dal porre, o avere come centro del proprio paradigma ognuno di questi argomenti.

Il partner. Il matrimonio – o la convivenza – può essere la più intima, la più soddisfacente, la più duratura, la più feconda delle relazioni umane in fatto di crescita interiore. Può apparire naturale e giusto avere come centro il proprio marito o la propria moglie o comunque una persona con la quale sentiamo di avere un forte legame fisico e spirituale. L’esperienza e l’osservazione però raccontano una realtà diversa. Molti matrimoni e molte unioni in difficoltà, hanno un minimo comune denominatore: sono tutti rapporti focalizzati sul partner. Questo denominatore è la forte dipendenza emotiva.

Se la nostra idea di valore, se il nostro stesso senso d’identità, la nostra guida, ci proviene primariamente dal sentimento che l’altra persona ci ispira, diventiamo altamente dipendenti da questo rapporto. Diventiamo vulnerabili agli stati d’animo e ai sentimenti, al comportamento del nostro coniuge e al trattamento che lui o lei ci riserva, o a qualsiasi evento esterno che possa turbare la relazione: un nuovo figlio, parenti acquisiti, difficoltà finanziarie, successi, e altro. Quando le responsabilità crescono e nel matrimonio – o nel rapporto – intervengono fattori di tensione, tendiamo a tornare ai copioni comportamentali che ci erano stati dati mentre crescevamo. E lo stesso accade al nostro partner. E questi copioni sono di solito diversi. Affiorano modi diversi di trattare i problemi finanziari, la disciplina dei figli o i rapporti con gli altri parenti o amici. Quando queste tendenze nascoste in profondità si combinano con la dipendenza emotiva in una relazione – perché il partner è al centro del nostro paradigma – si rivela tutta la vulnerabilità di questa Visione del Mondo.

Quando siamo dipendenti dalla persona con cui entriamo in conflitto, bisogno e conflitto si amalgamano fra loro. Alcuni dei risultati consueti di questa situazione sono reazioni esasperate di amore-odio, tendenza alla lotta o alla fuga, isolamento in noi stessi, aggressività, amarezza, risentimento e fredda competitività. Quando si manifestano queste reazioni, tendiamo a ricadere in tendenze e abitudini latenti ancora più antiche, nello sforzo di giustificare e difendere il nostro comportamento, mentre sferriamo un attacco contro le tendenze e le abitudini del nostro consorte. Così ricorriamo al sarcasmo, alle battute, alle critiche: a tutto quello che può impedire che la nostra tenerezza venga alla superficie. Ciascuno dei due partner, poi, tende ad aspettare l’iniziativa dell’altro per una riconciliazione, ma finisce da un lato con il rimanere deluso e dall’altro per avere la conferma della correttezza delle accuse da lui mosse. Anche quando tutto sembra andar bene, in una relazione, in una vita impostata con il partner al centro, c’è soltanto un fantasma di serenità e sicurezza. La direzione, la nostra destinazione finale, il nostro centro si basa sull’emozione del momento. E spesso, purtroppo, le persone che vivono con il partner come centro del loro paradigma possono arrivare anche all’idea di risolvere i conflitti in essere uccidendo – o cercando di uccidere – il partner che in qualche modo non voglia più continuare la relazione. La perdita del proprio centro risulterà poi – come nel caso di Adolf Merckle – con almeno un tentativo di suicidarsi perché, all’improvviso, con la dissoluzione del proprio centro la vita viene svuotata di ogni possibile significato – il proprio partner, in questo caso – non c’è più. L’abbiamo appena ucciso e all’improvviso la nostra vita non ha più senso.

La famiglia. Anche la famiglia può sembrare essere un possibile centro naturale e legittimo. Come area di convergenza d’interessi e d’intenso coinvolgimento, la famiglia fornisce grandi opportunità di relazioni profonde, di affetto, di condivisione, di molto di ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Come centro però – ironicamente – distrugge proprio gli elementi necessari per il suo successo. Gli individui che hanno messo al centro la famiglia traggono il loro senso di sicurezza o di valore personale dalla tradizione e dalla cultura familiare o dalla reputazione della famiglia. Così diventano vulnerabili a qualsiasi mutamento che intervenga in tale direzione o cultura o a qualsiasi influenza suscettibile di alterare tale reputazione. Genitori accentrati sulla famiglia non hanno la libertà emotiva, il potere, di allevare i loro figli dando realmente la priorità al loro bene futuro. Se traggono la loro sicurezza dall’idea della famiglia, il loro bisogno di ottenere sempre il massimo gradimento dai propri figli può essere più importante di un investimento a lungo termine nella loro crescita e nel loro sviluppo interiore. Oppure possono concentrarsi esclusivamente sul comportamento giusto e corretto del momento. Qualsiasi comportamento che essi considerino improprio minaccia la loro sicurezza, il loro centro. Diventano confusi, si lasciano guidare dalle emozioni del momento e reagiscono in modo spontaneo e approssimativo alla preoccupazione immediata, invece di badare innanzitutto alla crescita e allo sviluppo a lungo termine dei loro figli. Può capitare che facciano la voce grossa, che si mettono ad urlare, che perdano le staffe e elaborino punizioni sotto l’impulso di un’arrabbiatura. Tendono ad amare i loro figli in modo condizionato, rendendoli emotivamente dipendenti o recalcitranti a tale dipendenza, e ribelli.

Ma non solo nell’età adulta la famiglia può essere al centro del proprio paradigma, anche durante la nostra crescita, durante la nostra età infantile e adolescenziale è messa al centro del nostro essere quasi naturalmente, almeno per qualche tempo. Non è difficile notare come spesso il divorzio di mamma e papà può risultare devastante per l’equilibrio dei figli. Per un attimo questi possono all’improvviso perdere il centro del loro paradigma attuale e non sapere come affrontare la cosa.

Il denaro. Un altro centro logico ed estremamente comune che le persone danno alla loro vita è il far soldi. La sicurezza economica è fondamentale per chi vuole esercitare un’azione incisiva in qualsiasi altra dimensione. Nella scala dei bisogni, la sopravvivenza fisica e finanziaria viene al primo posto. Altri bisogni non hanno neppure la possibilità di manifestarsi fintanto che questa necessità basilare non viene soddisfatta, almeno in misura minima. La maggior parte di noi ha preoccupazioni di ordine economico. Molte forze, in un mondo globalizzato, possono agire e agiscono sulla nostra situazione economica, provocando o minacciando un danno talmente ingente che spesso proviamo una preoccupazione e un’ansia non consapevoli. A volte il far soldi ha motivi apparentemente nobili, come il desiderio di provvedere alla propria famiglia. E queste sono cose importanti. Ma fare dell’accumulo di denaro il centro della propria vita finisce con l’essere contro-producente. Poniamo che io tragga gran parte della sicurezza dal mio impiego e dalle mie entrate. Dato che molti fattori influiscono su queste basi economiche, divento ansioso e inquieto, protettivo e sulla difensiva, circa qualsiasi cosa che potrebbe intaccare questo patrimonio. Lavoro e denaro, di per sé, non forniscono saggezza, non forniscono un indirizzo, ma soltanto una misura limitata di potere e sicurezza. Basta una crisi nella propria vita o nella vita di una persona cara per dimostrare le limitazioni della concezione del denaro come centro di tutto. Le persone “denarocentriche” spesso mettono da parte la famiglia o altre priorità, nella convinzione che chiunque comprenderà che le esigenze economiche vengono prime. Tutte le aziende, ed i luoghi di lavoro hanno il denaro al centro del loro paradigma.

Il lavoro. Una persona focalizzata completamente sul lavoro può prenderlo come una droga, e sforzarsi di produrre il più possibile sacrificando salute, relazioni e altri importanti aspetti della sua vita. La sua fondamentale identità gli proviene dalla sua professione: “Io sono medico”, “Io sono scrittore”, “Io sono attore”. Poiché la sua identità, il senso del suo valore sono completamente assorbiti dal lavoro, la sua sicurezza è vulnerabile a qualsiasi evento che gli impedisca di continuare ad esserne assorbito. La sua direzione dipende dalle esigenze del lavoro. La sua saggezza e il suo potere si manifestano nelle aree limitate del suo lavoro, e questo lo rende inefficace in altri settori della vita.

I beni. Per molte persone il centro è rappresentato dai propri beni: non solo beni tangibili, materiali, come abiti alla moda, case, automobili, barche e gioielli, ma anche beni intangibili come la fama, la gloria o il riconoscimento sociale. La maggior parte di noi si rende conto, in base alla sua esperienza, della straordinaria precarietà di un simile centro, semplicemente perché può svanire rapidamente ed è influenzato da una miriade di forze. Se il mio senso di sicurezza risiede nella mia reputazione o nelle cose che possiedo, la mia vita sarà oppressa da un continuo senso di minaccia e di pericolo, per il rischio che questi beni vadano perduti, siano rubati o finiscano svalutati. Se mi trovo in presenza di qualcuno che mi supera in reddito, in fama o in posizione sociale, mi sento inferiore. Se mi trovo in presenza di qualcuno che possiede un patrimonio minore, che è meno famoso o a un gradino inferiore della scala sociale, mi sento superiore. Il senso del mio valore personale fluttua senza sosta. Non ho nessun senso di ancoraggio, di continuità e d’individualità permanente. Non faccio che cercare di proteggere e assicurare le mie sostanze, proprietà, azioni, la mia posizione o la mia reputazione. Come abbiamo già visto nel caso di Adolf Merckle – che potrebbe aver avuto benissimo il suo centro nell’idea dei beni – abbiamo tutti sentito i racconti anche di altre persone che si sono suicidate dopo aver perso le loro fortune in tracolli in Borsa o la loro fama in una sconfitta politica.

Il piacere. Un altro centro, strettamente alleato al possesso, è rappresentato dal divertimento e dal piacere. Viviamo in un mondo dove la gratificazione immediata è disponibile e incoraggiata. La televisione e il cinema fanno lievitare le aspettative della gente, poiché rappresentano visivamente quello che certe persone hanno e possono fare vivendo negli agi e nei divertimenti. Mentre gli aspetti positivi di una vita incentrata sul piacere sono evidenti, spesso vengono taciuti gli effetti sulla vita interiore, sulla produttività, sulle relazioni. Piaceri semplici e misurati possono essere fonte di distensione per il corpo e per la mente e favorire la famiglia e altre relazioni.

Il piacere, di per sé, non offre nessuna soddisfazione profonda, duratura, nessun senso di appagamento se non momentaneo. Chi ha messo al centro il piacere, si annoia subito e deve continuamente giungere a nuove fonti di divertimento. I nuovi piaceri devono essere sempre più grandi, sempre più eccitanti. Un soggetto in questo stato diventa quasi completamente narcisista e interpreta tutto nella vita in rapporto al piacere che fornisce all’ego. Troppe vacanze che durano troppo a lungo, troppi film, troppa televisione, troppi videogame, troppo tempo libero indisciplinato a poco a poco rovinano una vita. L’unico risultato garantito è che le capacità dell’individuo restano inattive, i talenti non si sviluppano, la mente e lo spirito diventano letargici e il cuore è insoddisfatto. Dove sono la sicurezza, la direzione, la saggezza ed il potere? All’estremità inferiore del continuum, nel piacere di un istante che è già scomparso.

Gli amici o i nemici. Sono soprattutto i giovani, anche se non esclusivamente, ad essere predisposti ad assumere come centro gli amici. Essere accettati da un gruppo di coetanei e appartenervi può assumere un’importanza quasi suprema. Lo specchio sociale, distorto e sempre mutevole, diventa la fonte dei fattori che sorreggono la vita, creando un alto grado di dipendenza dagli umori, sentimenti, atteggiamenti e comportamenti – tutti mutevoli – di altri. La focalizzazione sull’amicizia può anche concentrarsi su una sola persona, assumendo alcune delle dimensioni del matrimonio… senza esserlo. Questo tipo di focalizzazione può generare una dipendenza emotiva da un solo individuo e una escalation della spirale bisogno-conflitto, con conseguenti interazioni negative.

Che dire del fatto di mettere un nemico al centro della propria vita? Alla maggior parte di noi non passerebbe mai per la testa, e probabilmente non verrebbe mai in mente a nessuno in modo conscio. Nondimeno, il concentrarsi su un nemico è molto comune, specie quando c’è una frequente interazione fra persone che si trovano in una reale situazione di conflitto. Quando qualcuno sente di essere stato trattato ingiustamente da una persona emotivamente o socialmente importante, cade facilmente in preda all’ossessione di quest’ingiustizia e fa dell’altro il centro della sua vita. Invece di condurre in modo proattivo la propria vita, l’individuo così focalizzato reagisce, ribellandosi alla propria dipendenza, al comportamento e agli atteggiamenti della persona percepita come nemica. Molti divorziati si comportano in modo analogo: sono assolutamente divorati dalla rabbia e dall’acredine nei confronti del proprio ex coniuge. A tutti gli effetti sono ancora “legati”. Ciascuno di loro ha bisogno delle debolezze dell’ex partner per giustificare e sostenere le proprie accuse.

Anche molti “eterni bambini” passano la vita ad odiare apertamente o no i propri genitori. Li accusano di torti subiti, favoritismi, mancanza di affetto, e polarizzano la loro vita di adulti su questo odio, basandosi sul copione reattivo e auto-giustificatorio. La persona concentrata su un amico o su un nemico non possiede sicurezza intrinseca. I sentimenti di autostima dipendono dal comportamento di altre persone, dalle loro condizioni emotive. La direzione proviene dal modo di percepire come reagiranno gli altri, è limitata dalla lente sociale o dalla paranoia nemicocentrica. Burattini, ma con i fili stavolta. E altri tirano i fili.

Dio. Chiunque partecipi seriamente all’attività di una qualsiasi comunità religiosa sa che andare in chiesa, in moschea o alla sinagoga o perfino al tempio non è automaticamente sinonimo di spiritualità personale. Ci sono alcune persone talmente coinvolte nelle funzioni e nei programmi di una data comunità religiosa da diventare insensibili alle pressanti necessità del prossimo, contraddicendo gli stessi principi in cui professano di credere fermamente. Altri, invece, vanno meno di frequente o addirittura non partecipano mai alle funzioni pubbliche, ma hanno atteggiamenti e comportamenti che riflettono una più genuina aderenza ai principi della loro fondamentale etica religiosa – per quello che questa parola può ancora significare. D’altro canto, una persona può essere attiva nella sua comunità religiosa, ma inattiva nella morale implicita alla sua dichiarata appartenenza o al suo credo.

Nella vita centrata sulla comunità religiosa, l’immagine e l’apparenza possono diventare la considerazione dominante di una persona – o di un’intera nazione! – e questo conduce a un’ipocrisia che mina la sicurezza individuale e il valore intrinseco dell’essere umano. La direzione, in questo caso, proviene dalla coscienza sociale e quindi chi è incentrato sulla sua comunità religiosa tende ad etichettare artificialmente gli altri come “attivo”, “inattivo”, “progressista”, “ortodosso” o “conservatore” o addirittura “miscredente” e “peccatore passabile di pena capitale”!

Una comunità religiosa non può di per sé dare ad un individuo una sicurezza profonda, permanente, o un senso del proprio valore intrinseco. Questo può essere ottenuto solo dall’aver Dio Stesso come proprio centro e non le organizzazioni o le comunità umane a Lui ispirate.

Il sé. Forse il centro più comune oggigiorno è il sé. La sua forma più evidente è l’egoismo, che viola i valori della maggior parte delle persone. Tuttavia se analizziamo da vicino molte idee sulla crescita interiore e l’autorealizzazione, spesso troviamo che la loro essenza è proprio il sé. Nel centro limitato del sé c’è poco in fatto di sicurezza, direzione, saggezza e potere. Come il Mar Morto, il sé accetta ma non dà mai. Diventa stagnante. Al contrario, il prestare attenzione allo sviluppo del sé nella prospettiva più ampia di migliorare la propria capacità di servire, di produrre, di contribuire in modi significativi, crea il terreno per un formidabile accrescimento dei fattori che sostengono la vita.

Questi sono alcuni dei centri più comuni con cui gli esseri umani affrontano la vita secondo Stephen R. Covey e sento di non dover aggiungere altro.

E’ molto più facile riconoscere il centro della vita di un altro che non quello della propria: probabilmente conosciamo qualcuno che antepone a tutto quanto il far soldi e probabilmente conosciamo qualcuno che dedica la sua energia all’impresa di giustificare la propria posizione in una relazione negativa esistente. Se guardiamo attentamente, potremo vedere al di là del comportamento il centro che lo determina. Per provare ad individuare il nostro centro sarebbe sufficiente rispondere ad una sola semplice domanda… se fosse così facile rispondere obiettivamente! Ti farò questa domanda nel prossimo capitolo.

Per ADESSO prova a cominciare a disegnare il tuo paradigma attuale. Per ogni argomento, selezione quello che pensi al riguardo tra le scelte proposte qui sotto e se la tua idea non corrisponde a nessuna delle scelte previste, scrivila nel campo altro. Non è un test psicologico a punti e non ci sono risposte giuste o sbagliate. Ci sono solo le tue risposte.

DENARO

  • I soldi sono il male, la causa di ogni guerra
  • I soldi sono il bene, senza di loro non si può fare niente
  • Altro ……………………………………………………………………………....

LAVORO

  • Il lavoro è possibile solo come dipendente
  • Tu crei il tuo destino
  • Altro ……………………………………………………………………………....

 BENI

  • Il lusso è la migliore maniera di vivere
  • Se manca la salute manca tutto
  • Altro ……………………………………………………………………………....

PIACERE

  • Si vive solamente per godersela più che puoi
  • E’ sufficiente riuscire ad evitare il dolore
  • Altro ……………………………………………………………………………....

AMICIZIE

  • Il vero amico lo riconosci nel momento del bisogno
  • Dove cominciano i soldi finisce l’amicizia
  • Altro ……………………………………………………………………………....

NEMICI

  • Ama il tuo nemico
  • Schiaccia il tuo nemico
  • Altro ……………………………………………………………………………....

SOCIETA’

  • Se la maggioranza lo crede, allora deve essere vero
  • Il mondo va a rotoli
  • Altro ……………………………………………………………………………....

TE STESSO

  • Se tutti fossero come me…
  • Mi sento molto piccolo rispetto a chiunque
  • Altro ……………………………………………………………………………....

PARTNER

  • Il vero amore non esiste
  • Il vero amore esiste
  • Altro ……………………………………………………………………………....

FAMIGLIA

  • La famiglia è la tua forza
  • Non sopporto la mia famiglia
  • Altro ……………………………………………………………………………....

DIO

  • Esiste
  • Non esiste
  • Altro ……………………………………………………………………………....

Inevitabilmente si evidenzia la natura prettamente binaria del nostro universo. Nella scoperta del nostro paradigma si delinea immediatamente la nostra imprescindibile morale. Il Bene ed il Male si impongono come concetti primari e mettono in risalto la nostra facoltà principale: la capacità di scegliere. Il nostro più intimo e recondito POTERE.

Egli da principio creò l’essere umano e lo lasciò in balia del suo proprio volere. Se vuoi, osserverai i Comandamenti, l’essere fedele dipenderà dal tuo buon volere. Egli ti ha posto davanti il fuoco e l’acqua, là dove vuoi stenderai la tua mano. Davanti agli esseri umani stanno la vita e la morte, a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. ( La Scrittura, Profeti, Siracide 15, 14-17 )